a cura della Redazione
I rapporti tra genitori e insegnanti sono spesso difficili e sembra che lo stiano diventando sempre di più. I genitori, dicono gli insegnanti, proteggono i loro figli, non li seguono, non sono autorevoli… Gli insegnanti, dicono i genitori, danno troppi compiti o ne danno troppo pochi, non valorizzano abbastanza i loro figli, non dialogano… etc.
Si innesta molte volte una spirale reattiva che non trova fine, creando una situazione conflittuale che certo non giova al bambino, né agli adulti che devono educarlo.
Bisogna rompere questa spirale e per farlo bisogna aver chiara la diversità dei reciproci ruoli: la famiglia non potrà mai, né deve esserlo, un’alleata dell’insegnante, non svolgerebbe bene la sua funzione.
Infatti, a scuola, il bambino è sottoposto a molte richieste e al giudizio che gli viene dato a seconda di come risponde ai compiti che gli vengono assegnati. A volte riesce, a volte trova delle difficoltà… ma, comunque vada la giornata, esce sempre dalla scuola stanco e, a volte, frustrato o demoralizzato.
L’inserimento a scuola, lo studio, lo stare insieme agli altri, l’imparare a stare con gli altri, ad andare d’accordo con gli altri, a cercare di comportarsi bene è indubbiamente gravoso per ogni bambino. Dove trovare, allora, “un porto amico” in cui poter lasciare andare la sua fatica? Questo luogo non può che essere la sua famiglia. Quando un bambino non fosse supportato in questo suo sforzo quotidiano di crescita, ne sarebbe molto danneggiato.
La casa deve essere il luogo dove il bambino trova qualcuno che lo aiuti nei momenti di fatica, nei momenti di delusione, di insuccesso. E se il genitore si accorge che il figlio ha una difficoltà che supera le sue forze e le sue capacità deve potergli dire: “Pazienza se questo compito non riesci a farlo, non farlo!”. Perché il suo compito è sì quello di stimolarlo, di sollecitarlo a fare il suo dovere, ma anche di proteggerlo di fronte a difficoltà che in quel momento non è in grado di superare.
Per questo l’insegnante deve evitare atteggiamenti reattivi nel dialogo con i genitori di cui non conosce il mondo, la personalità, ciò che stanno vivendo, le difficoltà.
La sfera famigliare è una cosa, la scuola è un’altra. Il bambino a scuola ha a che fare con gli insegnanti, è inutile far ricorso ai genitori, si perde in autorevolezza. A scuola è l’insegnante che deve trovare un modo per relazionarsi con ogni bambino. E’ difficile, perché i bambini sono tanti e diversi uno dall’altro, ma è l’unica strada da percorrere.
La nostra salute mentale impone a tutti noi di separare il mondo del lavoro dal mondo della nostra privacy, per il bambino il mondo del lavoro è la scuola e la sua privacy è la famiglia. La scuola non deve invadere questa sfera. Troppo spesso, purtroppo, capita che i rapporti tra genitori e figli vengano avvelenati, modificati dal fatto che si incentrano sui risultati del bambino a scuola. Quando i genitori intervengono troppo sui compiti, su quello che ha detto la maestra, sui risultati che ha o non ha realizzato… su quelli che dovrebbe avere, il dialogo tra genitore e figlio viene meno con grande danno per la crescita del bambino.
La scuola, lo ripeto, deve avere la capacità di affrontare e risolvere i problemi in un rapporto diretto insegnante e bambino.
Questo non vuol dire che il genitore debba lasciare che il figlio non faccia i compiti. E’ solo una questione di equilibrio, di attenzione a come il bambino reagisce o a come si sente quando affronta una difficoltà. Se si vede che il bambino è molto angosciato gli si può dire: “non farlo”, oppure “facciamolo insieme”.
E’ su questo che si deve accordare e trovare un dialogo tra genitori e insegnanti. Del resto anche un insegnante deve saper rallentare di fronte ad un bambino che si trova troppo in difficoltà. Essere attenti agli stati d’animo, non significa, dire ai bambini di non fare, vuol dire semplicemente trovare la strada più adatta in quel momento particolare, vuol dire essere attenti al bambino in tutta la sua interezza e complessità.
Purtroppo troppi genitori, invece, non sanno dialogare, sono sempre di fretta e l’unico argomento di cui parlano a casa coi loro figli è proprio la scuola, perché anche loro hanno bisogno di vedere che il figlio riesce bene. Se i genitori, quando il figlio non ha i risultati che si aspettano, gli diventano ostili, il bmbino si sentirà solo e privo dell’aiuto necessario per uscire dalle sue difficoltà. Questo non potrà favorire una crescita sana e serena, né migliorerà il suo rendimento scolastico.
L’ambiente scuola può offrire al bambino delle opportunità di socializzazione, delle opportunità di studio, i suoi valori, delle esperienze di relazioni significative, ciò che magari il bambino a casa propria non trova: perché ha un genitore patologico, perché ha una situazione familiare in cui padre e madre non vanno d’accordo, perché c’è una situazione dove la povertà culturale e intellettuale non può dare al bambino degli stimoli che lo favoriscano nell’apprendimento.
Allora il sistema Scuola deve essere complementare alla Famiglia, deve, cioè, servire ad offrire qualcosa che nella famiglia non c’è o irrobustire ciò che nella famiglia c’è: questo è fondamentale per favorire la crescita, questo darebbe alla scuola la più alta funzione preventiva.
Estratto da verbali di registrazione Open Group – Interlocuzioni e risposte di Germana De Leo – Corso di Formazione “ Educare Dialogando”