Sono passati 25 anni da quando il mondo della rete ha fatto irruzione nelle nostre vite e, a pensarci bene, sembra quasi irreale che, una volta, nel mondo non esistessero i computer, i Tablet, gli smartphone tanto sono entrati a far parte della nostra mente. I giovani che hanno tra i venti e i trent’anni fanno sicuramente fatica ad immaginare come fosse prima il mondo.
Infatti, oggi, è difficile incontrare persone che non siano in qualche modo legate al mondo della rete, o, come si dice, che non siano “connesse”.
Queste tecnologie hanno cambiato enormemente la nostra vita. Secondo le ultime ricerche sociologiche una persona, in media, passa sette ore e mezzo al giorno davanti a uno schermo. Le nostre vite risultano quindi divise, spaccate, tra due mondi, quello online e quello offline. Due mondi con regole estremamente diverse con cui, di fatto, bisogna convivere.
In un’intervista rilasciata a Repubblica il noto sociologo Zygmunt Bauman dice:
“La cosa più attrattiva del mondo online è che riesce a rendere molto più facili dei compiti e dei problemi che sono difficili da risolvere nel mondo offline. (…) Perché, secondo me, e non smetterò mai di ripeterlo, Mark Zuckerberg ha guadagnato i suoi cinquanta miliardi di dollari perché ha capitalizzato quello che è il nostro desiderio di evitare il disagio della vita”.
E il più grande disagio che l’uomo prova è la solitudine. A questo problema Internet dà le sue soluzioni, infatti ci garantisce quello che il mondo reale non può fare: cioè ci regala la sicurezza che non si è mai da soli. Qualcuno su network lo puoi sempre trovare, in ogni momento del giorno.
“Quando uscì il walk-man, – continua Bauman – parlo veramente della preistoria della tecnologia, i pubblicitari utilizzarono un motto veramente contagioso per pubblicizzarlo: “Mai più soli”. E la parola chiave era proprio in quel “più”. Però il walk-man era lontano, ovviamente, anni luce dalla tecnologia attuale. Non era interattivo. Oggi abbiamo Facebook. Basta avere un account Facebook e non si è mai soli. Ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette, c’è sempre qualcuno a cui possiamo mandare un messaggio. Addirittura è più facile comunicare con i propri “amici” della Nuova Zelanda rispetto al nostro vicino di casa. Magari il nostro vicino di casa è uscito, magari è malato, magari sta ricevendo altre persone quindi non è online per noi, non è disponibile. Ma, nel mondo online, c’è sempre qualcuno di accessibile”.
Facebook poi ci dà anche la possibilità senza bisogno di mediazioni di diventare un personaggio pubblico, con pochi semplici click si possono raggiungere molte persone e se qualcuno poi mette “like” (mi piace) nel tuo profilo hai anche dei followers e forse questo vuol dire che tu vali qualcosa. Potrebbe certo essere solo un’illusione, ma un’illusione molto confortante.
Il tasto like è stato introdotto su Facebook nel 2007, con l’obiettivo di “disseminare attorno piccoli frammenti di positività”. Dopo poco tempo, tasti analoghi sono apparsi su Twitter, Instagram e molte altre piattaforme.
Il tasto like è solo uno dei molti piccoli trucchi psicologici che ci rendono lo stare in rete allettante e gratificante.
Ma è proprio Justin Rosenstein, l’ingegnere che ha inventato per Facebook il tasto like, a far notare che questa gratificazione ha un suo risvolto negativo, può favorire la dipendenza.
Una ricerca condotta dalla piattaforma dscout su un campione di utenti di cellulari americani, rileva una media di 76 accessi al giorno, qualcuno arriva a 132 volte al giorno.
Ma ad essere allarmante è il numero di gesti che compiamo con il nostro cellulare: la media è di 2617 gesti al giorno, ciascuno dei quali chiede che l’attenzione sia rivolta allo schermo. Se può essere eccessivo usare il termine “dipendenza”, certo si può parlare di utilizzo compulsivo del cellulare.
Del resto basta guardarci intorno. Ovunque ci si trovi, in tram, in metropolitana, al bar, sulle strade: sono moltissimi quelli che hanno lo smartphone in mano o che guardano direttamente lo schermo, che chattano su whattsApp o su Facebook.
La tecnologia non è certo un male in sé, anzi, sono molti i vantaggi. Il web è soltanto un mezzo, è il nostro uso a dargli un’altra valenza. Come sempre bisogna riflettere e sottrarsi ai pericoli che questi mezzi possono ingenerare nelle persone che ne fanno uso in modo improprio. Il vantaggio della rete è la possibilità di una comunicazione istantanea, ma questa possibilità può avere delle conseguenze, degli svantaggi non previsti. Possono diventare una via di fuga dai problemi del nostro mondo reale per non affrontare le difficoltà che si presentano nelle relazioni della nostra vita quotidiana che rende quindi più fragili i nostri rapporti umani.
Connettersi con altre persone on line è molto semplice, non lo è invece nel mondo reale. In rete l’altro è sempre presente, interagisce con noi, ma si tratta di “amicizie”, relazioni molto fragili, è facile spezzarle: quando siamo stufi, basta un click per cancellare il presunto “amico”.
D’altra parte, se nel mondo offline, le cose diventano difficili da gestire, ci si può sempre rifugiare online, dove vivono tutte le persone che la pensano come noi. Il mondo online rappresenta un’estensione del nostro Ego, il luogo, dove cercare conferme della nostra autostima.
De resto l’inventore del LIKE, Rosenstein, oggi autolimita il proprio accesso al cellulare. Lo seguono altri giovani tecnologi della Silicon Valley. Sono gli stessi che mandano i propri figli in costose scuole steineriane, dove i bimbi fanno giochi tradizionali, e non c’è l’ombra di un cellulare
“Accade spesso che gli esseri umani inventino con le migliori intenzioni per poi scoprire che qualcosa non va”, ha dichiarato Rosenstein al quotidiano britannico, Guardian. “Tra poco potremmo essere gli unici in grado di raccontare com’era la vita prima che accadesse” immagina Rosenstein. Prima, cioè, che Apple, Facebook, Google, Twitter, Instagram o Snapchat imparino a controllare le nostre menti”. E se lo dice lui forse dovremmo riflettere di più anche noi.
Riercatori dell’Università di Bonn sono andati ben oltre i consigli pratici, sviluppando un’applicazione per Android (4.0 e successivi), gratuita, chiamata Menthal in grado di dire ai possessori di smartphone per quanto tempo stanno attaccati al loro oggetto tecnologico preferiti.
Questi sono prime riflessioni sulla rete, sul cellulare. Per cominciare, potremmo imparare a stare più attenti a dove investiamo la nostra attenzione: forse conviene indirizzarla a chi ci è più vicino, per il cellulare c’è sempre tempo.
Avremo modo su questo blog di riprendere questo argomento.