Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento,
perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto,
perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato,
perché mi erano fastidiosi.
Ma poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente,
perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
Bertolt Brecht
E’ il giorno della Memoria. Ma la memoria a volte ricorda qualcuno e ne dimentica altri.
Anche Bertolt Brecht non ha nominati tutte le vittime dell’olocausto in questa sua celebre poesia.
Ha dimenticato gli handicappati da cui è partita la follia nazista, che ha considerato chi aveva “difetti” o “anomalie” “vite indegne”.
La poesia dovrebbe perciò cominciare:
Prima di tutto vennero a prendere gli handicappati…
Infatti, l’Aktion T4 (così veniva chiamata il progetto per l’eutanasia di massa dei disabili), condusse alla morte circa 250.000 vittime.
T4 è l’abbreviazione di “Tiergartenstrasse 4”, l’indirizzo del quartiere Tiergarten di Berlino dove era situato il quartier generale dalla Gemeinnützige Stiftung für Heil- und Anstaltspflege, l’ente pubblico per la salute e l’assistenza sociale.
Il numero 4 di Tiergartenstrasse corrispondeva ad un villino di proprietà di un ebreo. Il villino fu espropriato e divenne il quartier generale dell’operazione T4. I nuovi inquilini si chiamavano Karl Brant, medico, e Viktor Brack, il suo assistente. I signori Brant e Brack avevano avuto un incarico importante dal capo del loro governo: costruire un’organizzazione che eliminasse tutti i malati di mente, tutti i portatori di malattie inguaribili e tutti i bambini nati con malformazioni e tare ereditarie. Il capo del governo, Adolf Hitler, fece emettere l’ordine il 1° settembre del 1939.
Il comitato T4 distribuiva alle varie strutture sanitarie un modulo da compilare dettagliatamente circa le malformazioni del bambino. Una volta informati, i medici convocavano i genitori promettendo cure appropriate per i figli in strutture all’avanguardia denominate “Istituzioni specialistiche pediatriche”; estorcevano loro il consenso, minacciandoli di ritirare la tutela legale dei figli qualora avessero rifiutato il loro consenso a tali cure.
Il progetto non era attuato da quei nazisti pazzi e sanguinari, ma da medici, psichiatri, luminari che seguivano un ragionamento con una logica fredda e razionale: migliorare la nazione tedesca eliminando “chi rallenta la marcia”, chi è portatore di malattie ereditarie, soprattutto mentali, handicap per cui non esiste cura.
Queste persone risultavano a carico dello Stato senza essere produttive, senza dare alcun contributo alla crescita e al miglioramento del Paese. Lo scopo era sacrificare pochi esseri imperfetti per il bene di tutti.
Ma le teorie eugenetiche alla base del progetto, non erano certo nuove. La difesa della razza non è un parto della sola società tedesca, ma affonda le sue radici nelle teorie sull’ereditarietà e sull’evoluzione della specie, che animò tutto il diciannovesimo secolo e i primi anni del ventesimo, con importanti contributi che vennero soprattutto dalla scuola americana di Princeton e da una attualizzazione delle teorie lombrosiane. A Lombroso si deve, infatti, una prima classificazione degli esseri inferiori, usata poi dal nazismo.
Il governo di Hitler poté quindi attuare l’orrore dei suoi stermini perché le sue idee poggiavano su basi scientifiche, culturali e politiche diffuse all’epoca in molti altri Paesi civilissimi. Partendo da esse il nazismo, facilitato dalla disastrosa situazione economica derivata dalla crisi del ’29, attuò un propaganda capillare per manipolare le coscienze dei suoi cittadini. Elaborò programmi didattici per tutte le scuole di ogni ordine e grado e proiettò film in tutte le sale cinematografiche di Stato, tappezzò le strade di manifesti, di mostre e di opuscoli distribuiti ovunque.
Sparta va considerata come il primo stato Völkisch. L’esposizione dei bambini malati, deboli, deformi e la loro distruzione è stata più decente ed in verità migliaia di volte più umana della miserevole follia dei giorni nostri, che protegge i soggetti più patologici a qualsiasi costo, e ciò nonostante toglie la vita – mediante la contraccezione o l’aborto – a centinaia di migliaia di bambini sani, solo per poi nutrire una razza di degenerati carichi di malattie.”
Adolf Hitler , dal libro Zweites Buch
Anche la scuola era veicolo di propaganda attraverso i bambini.
Ne è testimonianza un testo di matematica del ’36 che suggeriva questi esercizi:
“La costruzione di un manicomio costa 6 milioni di marchi. Quante case si potrebbero costruire con questa somma a 15.000 marchi l’una?”- “Il mantenimento di un ammalato mentale costa circa 4 marchi al giorno, quello di uno storpio 5,5 marchi, quello di un criminale 3,50. Molti dipendenti statali ricevono solo 4 marchi al giorno, gli impiegati appena 3.5, i lavoratori manuali nemmeno 2 marchi al giorno. Illustrate queste cifre con un diagramma. Secondo stime prudenti sono 300mila i malati mentali, epilettici, ecc. di cui si prende cura lo Stato. Quanto costano in tutto queste persone a 4 marchi a testa? Quanti prestiti matrimoniali a 1000 marchi l’uno potrebbero venir concessi sfruttando questo denaro?
Il metodo di morte che venne più usato era la Dieta E: tutti i pazienti venivano alimentati con una dieta «assolutamente povera di grassi», i farmaci non dovevano essere sprecati. Entro 3 mesi i pazienti morivano di edema da fame.
La mortalità negli ospedali psichiatrici aumentò esponenzialmente fino alla fine della guerra e anche dopo, almeno fino al 1947.
Le malattie considerate come criterio per inserire i bambini nella lista di morte erano: la sindrome di Down, la cecità, la sordità, la tubercolosi, l’idrocefalia, la spina bifida, il ritardo mentale, il labbro leporino, la microcefalia, la paralisi infantile.
I medici del T4 falsificavano le cause del decesso nei relativi certificati per mantenere segreti questi delitti.
Purtroppo neanche la morte metteva fine al vilipendio degli innocenti. I corpi dei bambini venivano infatti sezionati ed i cervelli prelevati ed inviati presso l’istituto di Heidelberg per essere studiati dal dottore Carl Schneider.
Da questo passato bisogna imparare.
Questo quadro di Klee, Angelus Novus, rappresenta un angelo che ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese e fissa lo sguardo su qualcosa da cui sembra volersi allontanare. Dice Walter Benjamin
“L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
Per questo l’Angelo di Klee guarda angosciato il passato, mentre il vento (il tempo) lo spinge via, quando vorrebbe restare tra quelle vittime per tenerle strette a sé, per garantire ad esse un significato di qualche tipo. In Walter Benjamin, l’unica redenzione possibile è quella offerta dalla memoria: ricordando le vittime, ricordando le loro testimonianze e le loro sofferenze. Per questo, il centro essenziale delle sue tesi è l’inversione del rapporto tra passato e presente: Benjamin concepisce il passato come l’altra faccia del presente, derivante e prodotto da esso. E’ il presente che genera dal suo interno il proprio passato, e il passato non può sussistere indipendentemente da un presente che lo testimonia e lo redime.
Dobbiamo guardare indietro per imparare a ri-nascere come esseri umani. La nascita è un accadimento non meramente biologico ma anche esistenziale.
E non è un atto che avviene una volta per tutte. Nasco perché qualcuno ha voluto che nascessi, ma la vita è un continuo ri-nascere. E’ della ri-nascita sono io il creatore.
La vita è un continuo esame, è una continua scelta. Non scegliamo cosa ci accade, ma scegliamo verso quale direzione andare.
Si rinasce quando si esce dalla gabbia delle proprie sicurezze, per guardare oltre il già conosciuto e il già detto.
Ci sono gabbie nelle nostre menti che ci impediscono a volte di vedere ciò che è davanti ai nostri occhi. E non basta la cultura, ci vuole ben altro, per ri-conoscere quanto orrore ancora vive e si genera ogni giorno, a volte vicino, vicinissimo a noi.
Dice George Steiner:
“Adesso sappiamo che un uomo può leggere ‘ Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz. Dire che egli ha letto questi autori senza comprenderli o che il suo orecchio è rozzo, è un discorso banale e ipocrita. In che modo questa conoscenza pesa sulla letteratura e la società, sulla speranza, divenuta quasi assiomatica dai tempi di Platone a quelli di Matthew Arnold, che la cultura sia una forza umanizzatrice, che le energie dello spirito siano trasferibili a quelle del comportamento? Per giunta, non si tratta soltanto del fatto che gli strumenti tradizionali della civiltà le università, le arti, il mondo librario non sono riusciti a opporre una resistenza adeguata alla bestialità politica: spesso anzi essi si levarono ad accoglierla, a celebrarla e a difenderla. Perché? Quali sono i legami, per ora assai poco compresi, tra gli schemi mentali e psicologici della cultura superiore e le tentazioni del disumano?”
A questa domanda nessuno di noi dovrebbe sottrarsi. Il male è dentro di noi, dobbiamo riconoscerlo, saperlo individuare e non negarlo per impedire che le nostre azioni non solo non gli si oppongano, ma gli spianino la strada. E ci vuole un continuo allenamento. I nostri occhi devono allenarsi a vedere, le nostre orecchie ad ascoltare.
L’umile Moshé lo Shammash (il servo), sopravvissuto ad uno dei primi eccidi di massa in Ungheria torna al villaggio per raccontare la sua storia e viene preso per matto, perché ancora non si era compreso che si era davvero scatenata una follia nel cuore dell’Europa:
“E lui piangeva:
– Ebrei, ascoltatemi. E’ tutto ciò che vi chiedo. Non soldi, non pietà, ma che voi mi ascoltiate – gridava nella sinagoga, fra la preghiera del crepuscolo e quella della sera.
Anch’io non gli credevo (…) Avevo soltanto pietà di lui”.Così racconta Elie Wiesel ne “La notte”.
La fortuna mi ha fatto nascere nel 57, e mi ha data tanta curiosità nello studio della storia, ritenendo che siamo l’espressione del passato pertanto dovevo conoscere il passato.
Quello che si legge, ottimo lo scritto della dottoressa De Rienzo…ti fa riflettere, ti dovrebbe portare a pensare e cercare di non rifare gli stessi errori…invece ho la netta sensazione che qualcosa ci stà riportando nell’occhio di quel ciclone che distrusse l’intelligenza, la vita e la speranza.
Ho fatto questa piccola poesia dedicata alle persone che portano sul petto un “ marchio”…un segno di sottomissione…che tutti abbiamo.
Spero che si legga oltre le rime…spero , anche se la storia è ciclica, che quel periodo non torni più…
Attento
Attento , guarda giù , non muoverti
Attento , non girarti, puoi vedere
Attento, cammina dritto, non voltarti,
Attento, chiudi gli occhi puoi notare.
Ora cammina dritto,
cammina non alzare lo sguardo,
cammina lungo i muri, e tieni le mani in vista.
Ora cammina cercando di non farti notare,
cammina tenendo il respiro ……
guarda quel portone…calmo devi arrivare.
Ora non fermarti, non girarti ,
ma apri quel portone.
E chiudendo la porta fermati un istante…
Ascolta i rumori…silenzio…solo il tuo respiro
Ora alza lo sguardo, ora cammina, ora puoi.
Ora puoi girare il capo, puoi alzare gli occhi in cielo.
Ora puoi anche fischiettare e con forza …
Puoi togliere quella stella dal tuo petto…….
Stella, o marchio, o ……….ora solleva la testa …
Attento, ora sei… “ libero”
Anna Improta