di Elvio Mattalia
Cicerone: “Un uomo che raggiungesse il cielo e le stelle sarebbe triste se non potesse comunicare quello spettacolo”
IL PUBBLICO SECONDO MARCEL DUCHAMP
Per approfondire il discorso partiamo da due citazioni di un intervista a Marcel Duchamp che sono particolarmente interessanti … ed anche un po’ spiazzanti:
“L’artista non conta … E’ l’interazione col pubblico che fa il dipinto. Senza quella, il dipinto scomparirebbe in una soffitta, nessuna opera d’arte esisterebbe davvero. L’opera d’arte è sempre basata su due poli: il pubblico e l’autore, e la scintilla che scocca da questa azione bipolare dà vita a qualcosa, come l’elettricità. Non bisogna dire: “è un grande pensatore perché produce l’opera d’arte”. L’artista non produce niente finché chi guarda non dice: “Hai prodotto qualcosa di meraviglioso”. Chi guarda ha l’ultima parola”.“Chi guarda è importante quanto l’artista. Io attribuisco al pubblico quasi più importanza che all’artista, perché non soltanto guarda, ma emette anche un giudizio”.
(dall’intervista che Calvin Tomkins, critico d’arte del “New Yorker, fece a più riprese a M.Duchamp nel corso del 1964 e che ora viene per la prima volta pubblicata negli Stati Uniti – da “la Repubblica” del 17/2/2013)
Così dice Marcel Duchamp in un’intervista molto interessante… ed anche un po’ spiazzante
Specificamente per quanto concerne Duchamp, è interessante considerare che cambia il concetto di artista che non mescola più i colori, non scolpisce forme perfette, ma dà senso ad oggetti di uso quotidiano, spostando tali oggetti dal loro contesto “ricontestualizzandoli”. E’ il cosidetto ready made (abbiamo visto con Munari che è una delle costanti della fantasia, artificio molto utilizzato in pubblicità).
Con Duchamp assistiamo anche a una delle manifestazioni che sono tipiche dell’arte contemporanea: la protesta, la provocazione (si veda la “Gioconda baffuta”, in cui l’artista non vuole sfregiare un capolavoro ma contestarne la venerazione che gli è attribuita passivamente dall’opinione comune.)
Occorre poi considerare che “tramite l’oggetto esterno lo spettatore si lega con parti di sé; l’opera d’arte serve a colmare la rappresentazione lacunosa che l’io di un individuo ha del proprio Sé, l’opera è quindi un oggetto esterno di legame condiviso dall’artista e dal fruitore”.(da Luisa Fantinel, Cultura, Creatività, Simbolo: valore biologico e valore sociale, pag.12, in quaderni Zoè, luglio 2006)
Nonostante il notevole apprezzamento espresso da Duchamp, la condizione più frequente con cui il pubblico si pone di fronte all’opera d’arte è uno sguardo disattento: si passa in fretta di fronte al quadro, a volte non si legge neanche la targhetta esplicativa e ci si ferma proprio solo quando un folto gruppo di visitatori sta guardando l’opera (“qui devo proprio fermarmi considerata quanta gente c’è”) o quando qualche particolare di forma, colore, grandezza attira l’occhio.
E’ quindi indispensabile una presa di coscienza da parte di chi osserva, e non un comportamento “mordi e fuggi” come quello descritto e neanche una ricezione passiva, meramente sensoriale, disgiunta da ogni componente critica, analitica … Questo non significa respingere ogni approccio immediato all’opera, ma soltanto renderlo più consapevole e attento. Si tratta di imparare a prestare maggiore attenzione; si tratta di imparare a
“Leggere l’arte … “che è”… metafora che sta per interpretare, comprendere, penetrare, spiegare; parole diverse per sottolineare la necessità di entrare nei significati di un’opera non limitati all’immagine … ma riguardante gli insiemi dei suoi elementi”.
(F. De Bartolomeis, Introduzione all’arte contemporanea, La Nuova Italia,Firenze 1998)
Occorre quindi andare oltre il livello percettivo, di immediata risposta in termini di accettazione o rifiuto, per raggiungere un livello più profondo di comprensione, sapendo, peraltro che, come ci dice E. Kramer:
“Artista e pubblico viaggiano insieme in due direzioni opposte; dalla sorgente primitiva dell’impulso creativo verso la sua forma finale, e di nuovo dalla contemplazione della forma indietro fino alla profondità delle contraddittorie emozioni primitive”.
(E.Kramer, Arte come terapia nell’infanzia, La Nuova Italia,Firenze 1977, pagg. 32, 57)