Dopo alcuni mesi di pausa, abbiamo ripreso a presentare il nostro libro “A scuola contromano”, ritornando a Cuneo per una iniziativa promossa dall’associazione “La casa del delfino”.
Sono stati una quindicina i partecipanti piuttosto eterogenei.
Sono state dei docenti a prendere la parola ed un paio di signore che avevano svolto altri lavori, tra queste una pediatra ormai in pensione.
Ci ha sorpreso favorevolmente la pertinenza delle domande unitamente al vivo interesse per le problematiche esposte nel presentare i diversi argomenti del nostro libro.
Insomma ci siamo trovati di fronte un uditorio che cercava di capire la complessità dell’essere educatori nel tempo odierno, così carico di tensioni, di incertezze, di mancanza di prospettive.
“La mancanza di autorevolezza di molti docenti “è stato uno dei temi che più ha coinvolto i presenti.
L’autorevolezza, qualcuno ha sostenuto, è la condizione indispensabile per farsi ascoltare e seguire dai propri alunni. Oggi per lo più le famiglie tendono a svalutarne l’operato, ergendosi a difensori dei propri figli quando sarebbe necessario educarli all’assunzione delle proprie responsabilità e a comportamenti di rispetto e di accettazione delle regole che consentono la vita sociale.
Del resto la crisi della famiglia cosiddetta “tradizionale “è un dato di fatto, ha detto un’altra insegnante in pensione, aggiungendo che il rapporto, che si vorrebbe di dialogo e collaborazione, con la famiglia è un’utopia. La famiglia, ha sottolineato, è praticamente inesistente: la media della sua durata è di tredici anni. Ci si può contare poco. Ci troviamo di fronte alla scomparsa della “paura dell’autorità “e d’altro canto c’è scarsa autorevolezza.
Ma allora che fare? Si può insegnare l’autorevolezza? Ci è stato chiesto.
Una domanda con una risposta non facile e non univoca.
E’ stato detto che un tempo i docenti avevano una buona preparazione individuale, ma scarsa empatia e propensione alla costruzione dell’individuo “al di là” del sapere.
Ciò che la rende improbabile è la mancanza di entusiasmo e passione nello svolgere il proprio lavoro. Per innescare il desiderio di imparare ci vuole “desiderio di cultura”, che i docenti devono avere perché lo abbiano i loro allievi.
Non potevamo che essere d’accordo con tali osservazioni.
Certamente, abbiamo ribadito, riprendendo le caratteristiche del buon insegnante descritte nel nostro libro, occorrono formazione (universitaria e in itinere), competenza, passione, amore per la cultura e per i propri alunni. Ma, forse, bisognerebbe accertare anche la disponibilità profonda, l’attitudine, se vogliamo, non tanto all’insegnamento quanto a intessere significative relazioni, riferendo quanto detto in merito da Umberto Galimberti in alcuni suoi scritti.
In sintesi, abbiamo sottolineato, si acquisisce autorevolezza se si ha consapevolezza dell’importanza del senso e del significato del proprio lavoro.
Massimo Recalcati in un recente libro “Un’ora di lezione” parla della “presenza presente” dell’insegnate quale condizione per “erotizzare” l’insegnamento e l’apprendimento. Egli parla dell’insegnante che non vorrebbe essere in nessun altro luogo, che desidera essere dov’è.
Il dibattito ha poi toccato altri temi quali la mancanza di “educazione civica e politica, di conoscenza della Costituzione, soprattutto ai livelli più alti della scolarizzazione. Inoltre si è accennato al rapporto tra scuola e società; riprendendo quanto era stato evidenziato relativamente alla famiglia odierna, è stata rimarcata la mancanza di un modello omogeneo e biunivoco. In altre parole s’è detto “Quali modelli legano oggi la scuola alla famiglia e alla società?”
Un quesito che avrebbe meritato un secondo incontro..
Incontro dell’11 novembre 2017