DEFINIZIONE DI PAESAGGIO
“Rosario Assunto , il cui contributo l’approfondimento dei temi paesaggistici è stato di natura mondiale “ afferma che
il paesaggio è sempre uno spazio o rappresentazione di spazio e non un oggetto nello spazio: il paesaggio è lo spazio stesso che si costituisce ad oggetto di esperienza, oggetto di giudizio estetico (R.Assunto, Il Paesaggio e l’estetica)… Ciò che il termine paesaggio comprende in più rispetto all’espressione territorio è un’intrinseca valutazione di qualità e non solo di quantità, di intensità e non solo di estensione” e questa esperienza è possibile quando si ha un vissuto di quel paesaggio rispetto all’oggi, al passato, al tempo di chi lo guarda; ad esempio “l’immagine spaziale della città storica è comunque un’esperienza di memoria… perché la storia conserva ma non ripete. Lo spazio del paesaggio, invece, presenta la natura, i cui cicli si ripetono e si rinnovano… la nostra memoria è presente ricordandoci come si presentava la stessa situazione nel passato mentre la nostra aspettativa si proietta sul futuro… Il paesaggio si può quindi vedere come la rappresentazione spaziale del tempo della natura, che include poi tempi diversi in relazione ai diversi “ regni della natura”, quello minerale, quello vegetale, e quello animale. Il regno minerale, nel paesaggio, comprende pietre, rocce, montane, le cui immagini sembrano rispetto al tempo della nostra esistenza, immutevoli ed inalterabili… ma del regno minerale fa parte anche l’acqua, che spesso nel paesaggio rappresenta il movimento assoluto. Nel regno vegetale il tempo è circolare , ed ogni pianta … vive un ciclo vegetativo che segue le lune, le stagioni, l’anno. La massima espressione del tempo vitale è il movimento degli animali …” (D.Pandakovic, A.D.Sasso, Saper vedere il paesaggio)
Coca Frigerio (in Disegnare un paesaggio, testo della collana “disegnare colorare costruire” diretta da Bruno Munari, Zanichelli) ci fornisce alcuni altri elementi di definizione, più semplici e pratici poiché si tratta di un testo operativo per il lavoro a scuola, ma ugualmente interessanti.
La Frigerio ci dice che:
“la parte solida del paesaggio è quella su cui mettiamo i piedi passeggiando… è sempre delimitato dall’orizzonte… La terra è come un grande palcoscenico su cui poggiano gli elementi solidi e liquidi che la compongono… Oltre la linea dell’orizzonte, c’è il fondale panoramico del cielo, come a teatro… Per comporre un paesaggio bisogna allora immaginare di guardare il palcoscenico “terra” come gli spettatori di un teatro il cui boccascena è l’inquadratura. Le quinte sono i profili degli elementi appoggiati sul piano in diverse profondità. Il fondale cielo è equivalente al “panorama”, l’orizzonte delimita gli spezzati profilati in terzo piano, il primo e secondo piano si avvicinano all’occhio di chi guarda. La profondità di campo è la distanza tra l’osservatore e la linea dell’orizzonte… Quando stacchiamo l’occhio dall’orizzonte che è il punto più lontano del paesaggio che ci circonda e guardiamo da vicino vediamo i particolari che lo compongono… Comporre un paesaggio, secondo il punto di vista di chi guarda, significa delimitare con elementi vicini e lontani un certo piano di profondità, che può avere effetti diversi secondo la forma del contorno… che può essere determinato dal formato quadro, fotografia o da qualsiasi altra forma diversa del supporto.
IL VIAGGIO IN ITALIA
Nei secoli scorsi il viaggio in Italia assunse un ruolo importante nella formazione culturale delle persone colte: giovani aristocratici e borghesi benestanti completavano la loro formazione con un lungo viaggio lungo la penisola per vedere direttamente luoghi, monumenti, sculture e quadri di cui avevano letto. Il viaggio era quindi anche occasione di conoscenza dei vari paesaggi italiani. Tra i viaggiatori più celebri che scrissero di questi viaggi possiamo annoverare Goethe e Mointagne che rispettivamente nel 1980 e nel 1991 scrissero uno specifico libro con lo stesso titolo: Viaggio in Italia. Più tardi, nel 1957 anche Guido Piovene scrisse il suo Viaggio in Italia .
Il Touring Club Italiano, istituito nel 1892, ha poi istituzionalmente promosso la conoscenza del paese. Nel 1977 il TCI ha pubblicato nella serie Capire l’Italia: I Paesaggi Umani illustranti le diverse tipologie di paesaggi italiani. Nella presentazione del libro si legge:
“L’Italia è forse il paese dove la storia ha più profondamente plasmato il paesaggio. E ne sono stati consapevoli per primi gli artisti, che del paesaggio hanno individuato gli aspetti più significativi: quelli nobilitati dalla presenza delle opere umane. Anche per questa via i paesaggi italiani si trasformano da un insieme di scenari naturali che fanno da sfondo alle vicende umane in una somma di valori culturali autonomi, parti vive del patrimonio del nostro paese.”
Il rapido sviluppo del dopo guerra fino agli anni ’60 ha provocato cambiamenti, non governati da una precisa politica di difesa del paesaggio, che molto sovente hanno devastato paesi, città e territori.
Guido Ceronetti proprio a documentazione di questi cambiamenti deleteri del paesaggio pubblica nel 1983 ancora Un Viaggio in Italia che descrive compiutamente questa rovina.
ESTETICA DEL PAESAGGIO
IL PAESAGGIO
Da Dario Pandakovic, Angelo Dal Sasso, Saper vedere il paesaggio,
“.. la poesia greca, fin da Omero, descrive con fascino e incanto aspetti della natura e del mare, e la letteratura latina sviluppa un ambito specifico di interesse e di passione per la campagna e l’agricultura….
Qualche secolo dopo, con la ripresa neoplatonica, nella cultura cristiana … “la contemplazione della natura diviene contemplazione del divino, e la bellezza è il richiamo della natura divina delle cose” (L.Bonesio, Geofilosofia del Paesaggio )”
… Hegel nelle Lezioni di estetica rimarcherà che
“pur parlando di bellezze naturali … a nessuno è ancora venuto in mente di mettere in rilievo il punto di vista della bellezza delle cose naturali e fare una scienza, una esposizione sistematica di questa bellezza”
La presa di coscienza più esplicita del sentimento della natura nella letteratura pre-rinascimentale è comunemente attribuita alla descrizione che Francesco Petrarca ha lasciato, in una delle Lettere Familiari della sua ascesa al monte Ventoso il 26/4/ 1335…
Nel Rinascimento poi, la descrizione e l’apprezzamento per la vita dei campi non solo sono oggetto di letteratura, nella ripresa di testi classici e latini, ma, soprattutto nella cultura italiana e fiamminga, trovano massima espressione nella pittura, dove il paesaggio diviene fondale di scene storiche e immagini trascendenti, identificato come realtà terrestre e proiezione di immagine celeste …
E’ quanto si può notare nel quadro di J. E H.V.Eyck Adorazione dell’Agnello mistico del 1432: il paesaggio è visto come proiezione e immagine del paradiso terrestre; per trascendere la realtà materiale e avvicinarsi al divino occorre contemplare la bellezza della natura…
Nel Settecento hanno preso consistenza alcune classificazioni corrispondenti anche a tipologie della pittura di genere, quali il paesaggio fluviale, il paesaggio alpino, la marina e poi, dopo i viaggi e le scoperte naturalistiche di Humboldt (naturalista, geografo, biologo ecc.) le steppe e i deserti. Questi generi erano assunti come modelli per categorie estetiche quali il pittoresco, la grazia dell’Arcadia, il sublime, l’esotico…”
CITTA’ E CENTRI STORICI
In particolare per quanto concerne le abitazioni antiche dei centri storici si può riflettere sul confronto tra città nuova e città vecchia, tra conservazione e recupero e scempio architettonico, per osservare il senso dell’armonia delle proporzioni tra spazi e volumi, affinando in tal modo il gusto estetico, e motivare così, inoltre, il rispetto dell’ambiente e delle radici storiche e culturali.
Questo obiettivo diventa un compito primario per la scuola di ogni ordine e grado (come indica espressamente La Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, all’art. 6), per far sì che non ci si abitui al “brutto” (in un articolo di La repubblica del 15/1/2015 si riporta la notizia che dall’a.scol. 2015/2016 l’educazione ambientale sarà una nuova materia obbligatoria dalla sc. dell’infanzia alle superiori. Soltanto a inizio 2017 però, in un articolo di La Repubblica del 23/1, insieme agli altri decreti attuativi della “Buona Scuola”, si presenta all’approvazione del parlamento il decreto: “ sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno alla creatività”, testo pasticciato che, oltre ad una considerazione limitata del “Patrimonio” in cui potremmo vedere l’attenzione al Paesaggio, in modo semplicistico mette insieme troppi argomenti che meriterebbero più spazio e approfondimento specifico ).
Sovente i ragazzi vivono in quartieri, periferie degradate (palazzi anonimi, grigi, in contesti urbani sporchi, se non addirittura ricolmi di immondizia, privi di verde e di servizi) a cui si assuefanno con il rischio di divenire cittadini privi della giusta voglia ed energia per opporsi e proporre soluzioni diverse e più vivibili. Ambienti urbani pensati e realizzati con attenzione estetica contribuiscono a formare l’identità personale e della comunità di appartenenza.
In proposito si riporta un testo di Peppino Impastato:
“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura, l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità… Si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. E’ per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.”
In altre parole si tratta riflettere e far riflettere i ragazzi (e gli adulti in generale) sul fatto che il “bello” architettonico di paesi e città si ottiene quando chi progetta il territorio e gli edifici che vi devono sorgere tiene conto del contesto, sa “guardarsi intorno” per creare continuità ed armonia di linee, volumi, spazi, grandezze, colori, forme.
Come dice Pinin Carpi (P. Carpi, Alla scoperta dell’arte, corso di educazione artistica per le scuole), a proposito dei villaggi d’arte (ma possiamo riferirlo alle città d’arte):
“Così ogni casa è qualcosa di nuovo che si aggiunge al resto del villaggio, ma in modo armonioso; difatti il villaggio è come una casa allargata ”.
In proposito l’architetto Daniel Libeskind (in un articolo di La Repubblica del 23/6/2016) ci racconta di essere innamorato delle città italiane, soprattutto di quelle più piccole
“perché racchiudono il DNA dell’umanità. La loro evoluzione parla della dignità dell’essere umano perché tutto – scala, edifici, strade – è nato per facilitare le relazioni. Studiarle permette di capire il senso di una cultura che mette l’uomo e i suoi bisogni al centro, creando dialogo e sprigionando colore e bellezza. Non avrebbe un senso oggi copiare queste città. Ma ispirarsi, certamente, sì. Per esempio ricordandoci che la gente, non le pietre, il vetro o l’acciaio, è il vero cuore di una città… Un approccio contemporaneo… parte dall’amore sincero per la città che non è un paziente sul lettino di un medico ma una realtà da affrontare con l’orecchio a terra, per ascoltarne le vibrazioni: cercando luoghi inconsueti, osservando gli sguardi della gente. E’ da lì che si può cogliere l’essenza di un luogo complesso, più che dall’analisi delle amministrazioni”.
E a completamento di questo discorso, Giuliana Bruno, autrice di “Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura, cinema” racconta a Panorama il 22/6/2016:
“…la mia idea di partenza è legata alla geografia emozionale, quindi tutto si relaziona ai luoghi che generano memorie, che a loro volta procurano emozioni, le quali sono impiantate nei luoghi stessi. La questione di come un luogo assorbe la nostra storia non è qualcosa che ha a che vedere solo con il tempo ma anche con lo spazio.”
“ Per estensione queste considerazioni valgono anche per i quartieri delle nostre città, quando gli architetti riescono a creare continuità e armonia tra l’esistente e le nuove costruzioni, anche in città di grandi dimensioni; si pensi ad esempio alle costruzioni che cingono Postdamer Platz di Berlino o all’insieme dei grattacieli di cristallo di Manhattan a New York. Tuttavia, quasi in contrasto con quanto appena detto, l’armonia può essere raggiunta in alcuni casi con un intervento di assoluto contrasto come per il Beaubourg a Parigi o il Guggenheim di Bilbao, quando l’inserimento di un elemento architettonico assolutamente diverso dagli edifici circostanti, “valorizza” il contesto urbano su cui insistono i due musei, ridando vitalità a tutta un’area degradata, come era al momento della costruzione il III arrondissement di Parigi, o una zona in disuso, come il letto del fiume a Bilbao.
(questo brano è tratto da R.Armocida,E.Mattalia, A scuola contromano)
Salvatore Settis (in La Repubblica del 16/9/2015) evidenzia ancora, per quanto riguarda i “Centri storici” che
essi sono costantemente a rischio di fronteggiare un triste bivio: decadere a ghetto urbano riservato agli emarginati o subire una “gentrification” che li svilisce a festosi shopping centers o a “entreclaves” riservate agli abbienti “e da centri di vita si trasformano in aree per il tempo libero, assediate da periferie informi… Il paesaggio urbano diventa così un collage di suburbi, dove la distinzione fra quartieri segna la frontiera tra poveri e benestanti… La bellezza del passato è una perpetua sfida al futuro, scrive Brodskij. Ma la bellezza delle città non è estenuata e vacua forma, è prima di tutto vita civile. Perciò ha ragione Papa Francesco a ricordare agli architetti che “non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco” (“Laudato sì”). Non c’è bellezza senza consapevolezza verso il passato e verso le generazioni future. La bellezza di cui abbiamo bisogno non è evasione dal presente: non c’è bellezza senza storia, senza una forte responsabilità collettiva ” .
Ancora su città e periferia, su centro storico e agglomerati popolari e decadenti, Lucio Caracciolo (La Republica del 9/5/2016) rispetto al problema del terrorismo jihadista ci dice che
“l’ossessione securitaria minaccia…di farci perdere di vista i termini davvero decisivi della partita delle nostre periferie. Di quegli spazi che ci ostiniamo a definire periferici, identificandoli non in base alla geografia, che li renderebbe quasi indistinguibili dall’ipotetico centro, ma al disagio urbano. Perché è da qui che conviene muovere per identificare le “periferie”- le virgolette stanno a ricordare la vaghezza del termine-e per tentarne la riqualificazione. Stefano Boeri indica la polarità città-anticittà come più pertinente della coppia centro-periferia nel determinare le direttrici della battaglia per la riabilitazione del nostro frammentato tessuto urbano, che specie lungo la fascia adriatica non ha soluzione di continuità. Dove per anticittà si intende il degrado delle infrastrutture, dei servizi e degli edifici, la perdita degli scambi sociali e culturali che segnano storia e spirito della civitas -pur sempre una specialità italiana- il predominio delle mafie. Mentre città significa luoghi di aggregazione-cominciando dalle piazze, dalle scuole, dai centri sportivi e artistici-dove gente diversa costruisce insieme, a partire dalle proprie radici, l’appartenenza allo spazio urbano come bene pubblico”.
2.4) IL PAESAGGIO DIPINTO
Secondo Goethe.
“La pittura è capace di creare con i quadri un mondo visibile assai più compiuto di quanto possa essere quello reale” (citazione tratta da I.Insolera, Saper vedere l’ambiente, De Luca, Roma 2008).
La pittura in effetti è capace di darci una lettura molto precisa di un paesaggio: il momento della giornata, l’ora di luce in cui l’artista lo dipinge e allo stesso tempo l’il suo modo particolare di guardarlo che aiuta la nostra percezione a scoprirne aspetti che avremmo trascurato, e allo stesso modo il vissuto del pittore ci aiuta a confrontarlo con le nostre emozioni
“ La storia dell’arte occidentale è una lunga ed intensa parabola evolutiva in cui il paesaggio compare relativamente tardi (K.Clark, Il paesaggio nell’arte, Garzanti, Milano 1985): nel Rinascimento si afferma , in Italia e Oltralpe, dopo i secoli dei “fondi d’oro”, la rappresentazione della realtà (città, monti, campagne, giardini). Ma il paesaggio compare anche prima, quando l’urgenza di raccontare cose di cui si ha cura diviene un necessità di comunicazione. Gli affreschi dei Mesi del castello di Trento (inizio xv Secolo) rappresentano i lavori che si svolgono nell’arco dell’anno nella quotidianità della vita sociale e collettiva.
Nelle Fiandre Jan e Hubert Van Eyck riassumono tutto lo splendore di prati e boschi, acque e cieli per rappresentare il Paradiso nel Polittico dell’Agnello Mistico nella cattedrale di Gand (1432).
Il lago di Ginevra è minuziosamente descritto dal Konrad Witz nella tavola La pesca miracolosa (1444).
Negli affreschi di Benozzo Gozzoli (1421-1497) nella cappella del Palazzo Medici Riccardi di Firenze, i Magi cavalcano verso il Presepio sullo sfondo di campi, boschi, casolari e castelli: fedele rappresentazione del Mugello.
Giovanni Bellini (1430-1516) in tutto il suo operare “contempla il mondo visibile, ed è come lo accarezzasse l’occhio di Dio in una chiara mattina di primavera. Il più grande poeta del paesaggio italiano è stato Giovanni Bellini (…) Bellini riesce a cogliere lo spirito del paesaggio italiano con assoluta perspicuità, come solo Leopardi e Manzoni un giorno sapranno. (…) Ci fa capire come gli italiani abbiano saputo guardare, nel momento apicale della loro storia, allo splendore del vero visibile.” (A.Paulucci, Giovanni Bellini, catalogo della Mostra, Roma Scuderie del Quirinale, sett, 2008/gen.2009, Silvana, Milano 2008).
Dalla concreta osservazione della realtà della pittura fiamminga sgorga la pittura del paesaggio olandese: pianure fosche e nebbiose di umidità estiva o innevate nel gelo invernale, marine battute dal vento o accarezzate da luci serene, estesi campi piani percorsi da acque.
In Italia i Vedutisti del Settecento osservano, annotano e riproducono nelle immagini, anche con “macchine ottiche”, i paesaggi veneti e toscani, laziali e campani e alcune volte lombardi… Il Romanticismo s’impossesserà della natura come elemento privilegiato di espressione emotiva. I Macchiaioli toscani e gli Impressionisti daranno del paesaggio immagini istantanee (profezia di scatti fotografici e di cinema), colte in un attimo di luce e di percezione.
Le fotografie e le riprese con videocamera sono oggi l’applicazione più costante della rappresentazione dei paesaggi italiani” Da questo punto di vista :
“Uno degli ultimi contributi culturali che l’Italia ha dato al mondo è stato il cinema del Neorealismo. Nei primi anni del dopoguerra … alcuni registi hanno filmato la realtà del Paese: ai teatri di posa si sono sostituite riprese all’aperto …Nei primi film di Visconti, Rossellini,De Santis, Fellini, il paesaggio è rappresentato come parte integrante dell’espressività del racconto … ed è l’ultima volta che il “paesaggio-teatro” … è presentato come parte integrante della storia collettiva” (Darko Pandakovic, Angelo Dal Sasso, Saper vedere il paesaggio, De Agostini, Novara 2009).
NOTA: ARTE CONTEMPORANEA IN RELAZIONE ALLA RAPPRESENTAZIONE DELLA FIGURA UMANA E DEL PAESAGGIO
In merito è interessante leggere quanto ci dice Angela Vattese in L’arte contemporanea,Il Mulino,Bologna 2012, pag. 27,28:
“ L’opinione corrente tende a identificare l’arte contemporanea con l’astrazione, ma sarebbe un errore pensare che abbia abbandonato la figurazione. Al contrario …. quest’ultima ha continuato a rimanere viva, anche se spesso incline alla deformazione dell’immagine. In ambito scultoreo, ricordiamo Henry Moore con le sue forme antropomorfe; Alberto Giacometti con corpi spigolosi e sofferenti; Giacomo Manzù, Marino Marini e Arturo Martini con la retorica del monumento . In pittura, …Francis Bacon, Graham Sutherland e Lucien Freud, che hanno lacerato il corpo umano fino a creare figure al limite del mostruoso; a Klossowski e Baltus, che hanno ripensato il surrealismo con risvolti erotici ed esoterici; al folto gruppo di coloro che, da Edward Hopper a Richards Estes, hanno esasperato a tal punto l’immagine fotografica in pittura da arrivare a una rappresentazione iperrealista.
…Un altro errore sarebbe ritenere che abbiano perso mordente le ricerche riguardanti l’identità individuale dell’artista, che, al contrario di quanto si ritiene, non era mai stata importante nell’arte nei secoli precedenti… Questa attenzione è invece propria del Novecento, anche grazie alla nascita della psicoanalisi: L’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud uscì nel 1900 e Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, che spiega molto della creazione artistica, cinque anni dopo. Proprio questa attenzione al sentire interiore ha agevolato la strada dell’astrattismo non geometrico: intesa come diretta emanazione del sé, l’opera d’arte non ha più avuto bisogno di rappresentare necessariamente qualcosa e hanno potuto diffondersi tecniche come la scrittura automatica e incontrollata, la libera associazione delle immagini, la pennellata gestuale che è al contempo emanazione del corpo e dell’inconscio dell’autore”.Leggi anche:
LA PSICOLOGIA DELL’ARTISTA. Il mondo interno: dal ritratto all’autoritratto. (1)