a cura della redazione
Di fronte ad un allievo con qualche difficoltà di apprendimento o di comportamento, generalmente si vorrebbe che qualcuno ci fornisse delle ricette da applicare. In realtà non funziona così, le ricette non esistono. Allora si prova e si riprova e si impara facendo.
Quello che soprattutto sarebbe importante fare è riflettere su ciò che si sta facendo e analizzare ciò che è successo dopo che si è agito (e dopo che si è agito per analizzare ciò che è successo), cosa è andato bene e cosa non ha funzionato.
Un conto è dire: “faccio fare al bambino un esercizio con i cubetti, perché penso che così arriverà al raggiungimento di un obiettivo”; altro è analizzare il perché ho scelto i cubetti, qual è la risposta che volevo ottenere e quale ho ottenuto. Verificare se ciò che ho scelto di fare, ha funzionato per il mio allievo, oppure no o solo in parte. Successivamente pensare la mossa successiva con lo stesso atteggiamento.
Solo questo tipo di riflessione ci può mettere davanti alla nostra consapevolezza, alla possibilità di verificare il nostro pensiero. L’autoverifica è fondamentale per sentirci sempre in continua ricerca.
Questo lavoro però si fa poco. Si dice, perché non si ha il tempo o perché si teme di mettersi davanti a realtà a volte scomode, come verificare un insuccesso, sentirci sempre in discussione, perché ci è difficile mettere sempre in dubbio la validità di ciò che facciamo. Preferiremmo procedere lungo una linea retta, piuttosto che sentirci come in un labirinto in cui ogni volta dobbiamo trovare una via di uscita.
Fermarsi a scrivere e ad analizzare le situazioni è importante anche perché noi siamo portati fisicamente, biologicamente ad osservare ciò che emerge dallo sfondo, ad esempio un punto. E’ proprio la visione percettiva che è così. Quindi la relazione percezione/mente parte biologicamente dal fatto che noi veniamo attratti dal punto che emerge dallo sfondo. Si tende ad osservare, a vedere, ad essere colpiti dalle cose che escono fuori.
L’osservazione, invece, dal punto di vista della conoscenza psicologica, comportamentale, educativa….deve abituarcinad osservare anche lo sfondo.
Bisogna invertire la nostra tendenza biologica, che va dalla percezione alla mente, e fare il percorso contrario: dalla mente alla percezione.
Tutto questo lo si impara; lo si impara dall’esperienza . Quindi non ci sarà mai nessuno che possa definirsi “formato” come insegnante, come psicologo…”
Le nostre sono professioni in formazione permanente, in “auto formazione ” permanente.
Come insegnanti, dovete sentirvi come dei ricercatori; questo vuol dire essere costantemente in osservazione, altrimenti non possiamo procedere nel lavoro che facciamo; ogni bambino, pur con la stessa sindrome, è sempre diverso dall’altro e comporta problemi differenti e quindi interventi differenti.
Se non si tiene conto di queste osservazioni, se non ci si sente in auto formazione permanente, quando facciamo i consigli di classe, ci troviamo a discutere con gli altri colleghi senza fare mai un passo in avanti. La discussione non va mai oltre a dei dati “di fatto” rigidi e non ci si mette mai in una situazione di confronto l’uno con l’altro, perché c’è il timore dello scontro, di contrapporsi, invece, che metterci in dialogo.
In realtà, se ognuno si sentisse in un atteggiamento di ricerca, ogni punto di vista sarebbe preso in considerazione, ogni momento del nostro agire analizzato e questo permetterebbe una maggiore comprensione dei problemi e quindi una più centrata ricerca di soluzioni, o di modi per affrontarli. Sempre in itinere…
La discussione si arena quando due o più persone restano ferme sulle proprie posizioni senza scambiarsi opinioni, cercando solo di far prevalere la propria idea sull’altro.
Dobbiamo, invece imparare il dialogo, che può voler anche dire il restare sulle proprie posizioni ma a seguito di un confronto di codici su cui si sta ragionando e che comunque sono sempre soggetti a verifica.
Se non si adotta questo modo di procedere e c’è solo la difesa di se stessi, è chiaro che questi incontri, queste riunioni sono momenti apparentemente di lavoro; l’incontro tra professionisti si ferma ad essere soltanto, di nuovo, un confronto ideologico e quindi non comunicabile.
Spunti e riflessioni da seminari o corsi di formazione tenuti dalla dott. Germana De Leo