Nessun personaggio come Jung è riuscito in Occidente con tanto successo a diffondere l’interesse per il simbolismo sacro e, anche se non sono stati un diretto obiettivo delle sue ricerche, a favorire il riconoscimento nei Tarocchi delle rappresentazioni di archetipi di trasformazione, simili a quelli de I Ching.
Le lame[1] dei Tarocchi, in particolare gli Arcani Maggiori, infatti, possono essere lette come un libro illustrato perché contemplano nascita, sviluppo, crisi, superamento, conclusione e rinascita, nell’eterno fluire ciclico della vita.
“La parola Tarocco – ci dice Alejandro Jodorowsky[2]– sarebbe egizia (tar: sentiero; ro, rog: regio); indo-tartara (tan-tara: zodiaco), ebraica (tora: legge), latina (rota: ruota; orat: parla), sanscrita (tat: il tutto; tar-o: stella fissa), cinese (tao: principio indefinibile), e così via…nessuno sa chi abbia creato i Tarocchi, né dove, né come…e non si sa neppure se il Tarocco sia stato così fin dalle origini o se sia il risultato di una lenta evoluzione…è un libro che parla facendo pensare…”
Di conseguenza, osservarle e lasciarsi attraversare dalle immagini e dalle idee che esprimono o permettersi di entrare in risonanza con i significati che emanano, può favorire l’apertura di un dialogo con noi stessi, aiutandoci a riflettere e a trovare maggiore consapevolezza -proprio grazie all’intuizione- del nostro stato emotivo profondo, dei nostri desideri latenti, delle nostre difficoltà e delle nostre risorse.
Interessante coglierne gli echi nell’ambito della cura di sé; in un recente testo, ad esempio, Maria Giovanna Luini[3] ci dice
“I Tarocchi…ci trasportano nell’illusione creativa del gioco, spingono a proiettarci su una sequenza visiva senza il filtro delle parole e della razionalità. All’inconscio non servono ragionamenti e grandi discorsi: è una porta chiusa che si spalanca grazie a stimoli speciali…”.
Le carte risuonano, quindi, dentro di noi con i significati che gli attribuiamo perché racchiudono immagini antiche di tradizioni narrative tra il sacro e il profano, ma che nel dettaglio sono piene di sub-immagini e ciascuna sub-immagine ha un suo micro-significato che per ciascuno ha una valenza specifica. Italo Calvino, nel suo libro “Il castello dei destini incrociati”, narra di commensali senza parola che per raccontare le loro gesta si servivano di queste carte cosicché le storie dei cavalieri si mescolavano a quelle dei nobili o delle dame e generavano trame alle quali altri potevano agganciarsi per raccontare la loro vita, consentendo alle persone di aprirsi e relazionarsi.
[1] Si definiscono così le carte degli Arcani Maggiori.
[2] Jodorowsky A., Costa M., La via dei Tarocchi, Feltrinelli Milano 2005
[3] Luini M.G., I Tarocchi ti raccontano, Tre60 Tea edizioni Milano 2019. L’autrice è medico ed è stata assistente di Umberto Veronesi.