I giudizi di “bello, brutto, sgradevole, accettabile….” sono sovente il frutto di stereotipi, di pregiudizi collettivi, di semplificazioni interpretative dei gruppi di appartenenza, che condizionano il giudizio personale. Pensiamo invece che il giudicare, l’esprimere un parere ed un proprio gusto deve essere una scelta davvero personale non omologata e massificata o condizionata oltretutto dai media.
Perché si possa formulare un giudizio personale meditato, in assonanza o consapevole dissonanza rispetto a ciò che l’artista esprime, è necessario che il gusto estetico venga coltivato e praticato mediante un adeguato intervento educativo fin dall’ingresso nella scuola dell’infanzia, ed addirittura nel nido per i bimbi che lo frequentano. L’ambiente stesso che accoglie il bambino fin da piccolo dovrebbe porsi come contenitore che stimola, per gli oggetti che espone, per le decorazioni, i colori, le caratteristiche architettoniche …, il senso estetico.
In questo testo sono stati utilizzati brani tratti o estrapolati dal cap.8°: Creatività ed estetica del libro di psicopedagogia Scuola contromano di E.Mattalia e R.Armocida;
In questo senso è particolarmente significativo un intervento di Paola Guarini che nella sua sintesi dice:
“Consentire al bambino occasioni diverse e sempre motivate di addestramento al “fare” e al “creare” significa permettergli di rendere concreta, visibile, evidenziabile a se stesso e al proprio gruppo, una serie di contenuti relativi alla propria personalità, al proprio “esserci” nel mondo: emozioni, abilità via via acquisite, interpretazioni di cose e di persone, visioni di sé e del mondo.
Significa consentire al bambino di riconoscersi, trovare tracce di se stesso, impronte del proprio “io” nel prodotto creato. Il “segno” realizzato diviene un “significato” preciso, pertinente, non generico. Le prospettive per una “educazione del gusto” possono trovare preciso riferimento in questa capacità di attribuire un significato a ciò che ci circonda, partendo proprio dal significato che noi stessi per primi abbiamo potuto dare ad un “prodotto” creativo.
Educazione del gusto è anche rendersi consapevoli di uno “stile” che è appunto traccia personale, impronta inconfondibile. Questa impronta consente di distinguere “segni” tra loro diversi in quanto prodotti da personalità diverse. Dunque, solo facendo, sperimentando, è possibile guardare e giudicare ciò che gli altri hanno prodotto, approdare ad una prima formazione di quel “gusto” personale che è condizione indispensabile per esprimere una propria “preferenza”. Preferire è infatti reagire alle cose dopo averle gustate; significa “scegliere” una cosa anziché un’altra, appunto perché ad essa attribuiamo valenze e significati superiori rispetto ad un’altra.
Spesso la società dei consumi prevede e manipola il nostro gusto, le nostre attitudini preferenziali; riappropriarci di esse è un percorso complesso, delicato, ma indispensabile per maturare un modo di essere, di giudicare, di comportarsi autonomamente e consapevolmente. Se “gusto” significa (come alcuni ricercatori affermano) un “metro valutativo da applicare agli oggetti” in base al significato che ad essi attribuiamo, “preferenza” è ciò che ci consente di esercitare tale capacità in una prima forma di libertà, di scelta, sfuggendo alla pre-determinazione”
(P. Guarini, testo preparatorio per i materiali del Piano Pluriennale di Aggiornamento sui Nuovi programmi per la Scuola Elementare: Educazione all’immagine, al suono e alla musica, motoria, IRRSAE PIEMONTE,Torino 1990)
Questo testo ci suggerisce che i giudizi scorretti, inadeguati o i giudizi corretti e adeguati che esprimiamo sono sempre conseguenti alle esperienze educativo-scolastiche che ci hanno guidato positivamente o negativamente nella formazione delle nostre capacità critiche :
1. la possibilità di scegliere, di esprimere gusti e stili personali, senza quelle esasperazioni che a volte riscontriamo in alcuni ambiti familiari, dovrebbe persistere durante l’intero iter scolastico, specialmente quando, a livello adolescenziale, al bisogno di identificarsi nel gruppo di coetanei corrisponde, all’opposto, il bisogno di affermare la propria individualità;
2. “giudicare ciò che gli altri hanno prodotto” rimanda alla necessità che il bambino/ragazzo, a partire dalla consapevolezza delle proprie scelte e del proprio stile, accetti e rispetti l’altro nella sua diversità, nel suo modo di esprimersi, nei suoi valori. Quindi giudicare ed essere giudicati vuol dire confrontarsi, distinguersi senza svalutare, ma riconoscendo l’altro come portatore di valori diversi. Si tratta con altre parole di poter sostenere giudizi su di sé senza sentirsi feriti o annientati quando si discostano dalla propria aspettativa di consenso incondizionato;
3. proprio in materia di giudizi vogliamo evidenziare come i prodotti a scuola (testi, immagini, manufatti, drammatizzazioni …) siano veicolo di riconoscimento da parte degli altri e strumento di valorizzazione del proprio sé, della propria identità. Da un lato il bambino affronta la paura del giudizio, dall’altro soddisfa il bisogno di esprimere i propri pensieri, vissuti, emozioni, godendo del proprio prodotto accettato, valorizzato dal gruppo e dall’adulto.
4. ‘preferenza’ è ciò che ci consente di esercitare tale capacità in una prima forma di libertà, di scelta, sfuggendo alla pre-determinazione. Tale affermazione esprime adeguatamente la dimensione etica …anche nella dimensione estetica, in quanto l’assunzione di scelte consapevoli, il rispetto di sé e degli altri, il confronto sono alla base della convivenza democratica.