Si parla tanto di bullismo, si pensa ai provvedimenti da prendere, alle punizioni “esemplari” da dare e si crede che solo così si porrà argine a questo “fenomeno”. Ma pochi si preoccupano di cercare un dialogo, di cambiare modo di fare scuola, di comprendere che siamo noi adulti che diamo l’esempio, è da noi adulti che imparano il linguaggio della violenza, dell’odio, dell’aggressività.
Ricordo che un giorno ho trovato dei ragazzi che prendevano a calci nei bagni Luigi. Anche se non erano della mia classe li ho fermati e ho chiesto loro cosa aveva fatto quel compagno. Niente, mi hanno risposto. Allora perché lo picchiate? Così, per divertirci, scherzavamo. Il ragazzo maltrattato si è alzato e ha confermato la versione dei compagni: stavamo solo giocando, mi ha detto con la tristezza negli occhi.
Si usa violenza quando non si riesce ad articolare la propria voce, quando non si riesce ad affermare in un modo diverso la propria esistenza.
Tra di loro i ragazzi non sono abituati, se nessuno glielo insegna, ad ascoltarsi, a soccorrersi. Si giudicano per come vestono, per come riescono nei giochi, per la simpatia o antipatia che suscitano, per l’aspetto fisico, oggi, più che mai, per la propria provenienza.
L’aggredire l’altro è normale, prenderlo in giro, insultarlo è uno “scherzo”, non hanno coscienza di far del male.
E’ quotidiano prendere di mira qualcuno, farlo oggetto di scherzo senza accorgersi quando si supera il limite di sopportazione che l’altro può sostenere.
Non sanno, soprattutto, dare risposte del loro comportamento, non sanno quindi cosa “vuol dire essere responsabili”.
E’ compito di noi adulti far comprendere la differenza tra scherzo e offesa, tra divertimento e aggressione dell’altro, far notare che ciò che noi soffriamo è sofferenza anche nell’altro, che la sensibilità può essere diversa, che qualcuno può essere più vulnerabile. Starebbe a noi parlare di sentimenti, di emozioni, ma forse anche noi abbiamo perso questi valori, forse anche noi non ne siamo più capaci.
Sta a noi educarli a “dare risposte”, a essere responsabili dei loro comportamenti non per “punirli”, ma per far loro prendere coscienza di quanto ogni piccolo gesto può far del bene o del male. Per renderli partecipi della vita degli altri, per aiutarli a sentirsi “individui” tra altri”individui” e non parte di un gruppo in cui comanda chi alza più la voce per farsi sentire.
E’ un lavoro lungo, continuo, attento, quotidiano. Troppo spesso liquidiamo questi comportamenti con un “sono solo ragazzate” o “una sospensione”, due estremi che nulla hanno a che fare con il lavoro di educazione alla responsabilità e all’affettività.
I bambini sono sempre più immaturi affettivamente, sempre meno sanno decifrare le loro emozioni, sanno parlare dei loro sentimenti e delle loro paure. Sempre meno noi abbiamo tempo di parlare e stare con loro.
E’ importante allora creare spazi dove i ragazzi possano parlarsi, rispondere delle loro azioni, raccontare le loro difficoltà, spazi dove si impari l’ascolto, il dialogo, il confronto.
Come dice Lacan è importante
“Aprire spazi, margini perché abbia luogo quell’apertura che noi siamo, perché l’apertura possa darsi e lì allora darsi la parola”.
Uno spazio dove si impara ad ascoltare se stessi e ascoltando se stessi si possa imparare anche ad ascoltare gli altri.
Ma bisogna che prima di tutto i bambini, i ragazzi sentano che l’insegnante è lì per prendersi cura di ognuno di loro.
La parola “cura”, la grande assente della scuola. La parola più importante, la sola che possa dare “anima” a quelle aule troppo spesso grigie, spoglie.
Perché prima di tutto è questo messaggio che dobbiamo far passare ai nostri allievi “Io avrò cura di te” “Io avrò cura di voi” “Insieme avremo cura uno dell’altro”.
Se non gli avremo fatto capire che tutti ci sentiamo un po’ impauriti di fronte alla vita, ma che non siamo soli, che insieme troveremo le nostre strade, quella comune e quella di ognuno, allora la scuola non avrà nessun valore per i ragazzi che abbiamo di fronte, non gli darà nulla se non un bagaglio di nozioni inutili perché imprigionate in discorsi rigidi, senza vita.
Se non dimostreremo loro che vogliamo conoscerli per quello che sono, che non è importante da dove vengono e dove sono arrivati, ma che quello che conta è il cammino che faremo insieme ognuno secondo le proprie capacità, non ci sarà relazione tra noi e loro, né tanto meno amore.
Non quell’amore fatto di luoghi comuni e frasi fatte, ma quell’amore che si costruisce giorno per giorno nella continua conoscenza l’uno dell’altro. Anche quando il primo impatto è duro, anche quando ci respingono perché non si fidano, perché sono stati troppo presto feriti e segnati dalla vita.
Dobbiamo da subito far loro capire che cammineremo tenendoci per mano, che non importa se tutto intorno a noi non funziona, se la scuola nel suo insieme non sembra costruita per loro, ma a volte contro di loro, se non avremo mezzi, se il tempo sembrerà non bastarci, se…
Quello che conta è che sentano che ogni cosa la supereremo insieme.
Ogni giorno sarà l’occasione per ricordare che la diversità è ricchezza e che la ricchezza di ogni ragazzo o bambino che cresce va coltivata e fatta crescere.
Non importa se gli allievi saranno tanti. Se vogliamo conoscere i nostri allievi in modo profondo troveremo un momento, uno sguardo, una parola speciale per ciascuno di loro qualsiasi sia il numero degli allievi che avremo e soprattutto li aiuteremo pian piano a nascere come piccola comunità. Li solleciteremo a guardarsi negli occhi, a parlarsi, a discutere e a chiarirsi, a comprendere il valore di ognuno di loro, a imparare dai propri errori. Costruiremo una tela di relazioni dove ognuno si sentirà parte integrante di un tutto. Se non nascono legami e non ci sarà condivisone e solidarietà in classe, anche l’apprendimento ne risentirà e lascerà indietro molti. Nessuno crescerà davvero.
Prendersi cura vuol dire imparare la responsabilità, la cura rende unico e speciale ognuno. E’ in poche parole “esserci”, essere in presenza, fare in modo che chi ci affianca sappia che può contare su di te.
E allora cominciamo facendo l’appello, chiediamo ad ognuno ad ogni inizio giornata come sta, se è pronto ad affrontare la giornata, a imparare cose nuove, orizzonti nuovi. E chiediamolo prima di tutto a noi stessi.
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Saper ascoltare è un’arte non facile da imparare e nasce dal silenzio
Vorrei dire tanto , mi riesce più facile scrivere una poesia…………
Ascoltiamoli
Ascolto sempre gli altri
Parole dette… bravi relatori.
Parole composte… solo su libri
Esperti, grandi professionisti…
Ascolto ..gli altri.. ma chi ascolta loro?
Chi veramente sa che significa,
chi veramente
ha sentito
dentro di sé
il peso?
Il mal di stomaco.
Le lacrime nascoste.
Parole… Parole… solo parole.
Ma chi fa parlare loro ..
chi veramente ascolta
il loro grido muto.
Penso spesso
che chi parla del malessere
è esso stessa
il malessere
del dire e del fare.
Ascoltate le urla
di chi veramente ha sofferto,
Di chi ha sentito su di sé
la vergogna di come è..
Bullo è chi bullo fa..
o chi da bullo parla…
e parla..
Ascoltate loro,
solo loro
Tutti dovremmo parlare
e spiegare come ci si sente.
Sì noi.. che da bimba son stata.
Solo noi possiamo parlare
con il nostro amico o nemico di banco o di vita.
Ascolto solo gli altri.. ascoltavo .
Ora basta ascolto solo me…
Ascoltiamoli
e basta
Anna Improta
Purtroppo viviamo in una società individualista, dove ognuno pensa a se stessi, dove la comunicazione avviene tramite i social network e non più seduti a tavola…
I valori appunto come il rispetto, la tolleranza, l’onestà ecc devono essere vissuti all’interno della famiglia. I figli devono capire che ogni loro azione/parola hanno una conseguenza: positiva o negativa; devono prendere coscienza che far male ad un suo compagno non è affatto uno scherzo….
Fin da piccoli genitori devono accompagnare i propri figli in questo cammino che si chiama vita, ascoltandoli e aiutandoli ma soprattutto incoraggiandoli a pensare con la propria testa e non con quella del “branco”.
Paola Pizarro