di Rosa Armocida ed Elvio Mattalia
Il testo, scritto a quattro mani con Elvio Mattalia e pubblicato dall’Editore Armando nel maggio 2015, è un testo di psicopedagogia che si rivolge in modo particolare agli insegnanti della scuola di base.
L’introduzione, l’indice, i parametri psicopedagogici (reperibili sul sito di ARSDiapason) consentono di avere una prima idea sulle motivazioni che ci hanno indotto alla scrittura dopo essere andati in pensione e sulle condizioni da noi ritenute sempre ESSENZIALI, nei diversi contesti storici e ambientali, per una scuola davvero a misura dei suoi alunni e soddisfacente per i suoi docenti.
Pensiamo, inoltre, possa essere di una qualche utilità la sintesi che segue riguardante quanto di significativo è emerso nei diversi incontri di pubblicizzazione. Ad oggi abbiamo presentato il libro in oltre venti realtà, del territorio dove abbiamo operato come dirigenti e non solo, ora all’interno delle scuole con gruppi di docenti o collegi interi presenti i dirigenti (Alba, Alpignano, Bra, Cavallermaggiore, Ciriè, Collegno, Robilante, Savigliano), ora in biblioteche comunali (Chieri, Settimo Torinese, Piossasco, Fossano ), ora in varie librerie (Cuneo, Treviso, Trieste), nelle sale destinate agli incontri di alcuni comuni (Rivoli, Buttigliera, Portigliola), al Circolo dei Lettori di Torino e alla manifestazione “Scrittori in città” di Cuneo, a volte con la partecipazione di genitori e di amministratori locali.
La prima presentazione è avvenuta a Cuneo presso la libreria Ippogrifo, a giugno del 2015 con una partecipazione numerosa, attenta e dialogante.
I docenti intervenuti, come in tantissimi altri incontri, hanno manifestato con forti connotazioni emozionali, rispetto alle loro condizioni di lavoro, disagio, smarrimento e rabbia per le continue richieste di cambiamenti, che non rimuovono alla radice i loro problemi come l’eccesso di burocratizzazione, le risorse sempre insufficienti, lo scarso riconoscimento sociale ed economico.
Da subito è emersa approvazione per la nostra proposta di una scuola essenziale, per un curricolo “essenziale”, sfrondato di tutto ciò che, essendo ridondante, l’appesantisce, facendo perdere il piacere dell’insegnare e dell’apprendere.
Approvazione sì, ma anche consapevolezza delle difficoltà che rendono difficile realizzare una didattica davvero utile, che riducendone i contenuti, approfondisce i percorsi di acquisizione di conoscenze, abilità, competenze e riserva uno spazio adeguato alla relazione, all’ascolto del bambino/ragazzo.
Tanti progetti molte volte vengono accolti per acquisire risorse, ma possono configurarsi come veri “distrattori”. Ogni progetto richiede tempi di progettazione e di realizzazione. Anche in questo caso, abbiamo sottolineato, occorre saper scegliere ciò che è davvero importante, in altre parole selezionare esperienze di senso.
In questo primo incontro ci attendevamo interventi, e piuttosto critici, sulla riforma “La buona scuola” del governo Renzi. Non una parola. Ne abbiamo parlato noi brevemente, sottolineando che a nostro parere la riforma, pur apprezzabile per aver affrontato nodi storici quali l’immissione in ruolo di una pletora di precari o la valutazione di docenti, dirigenti o il riconoscimento del merito, manca di una visione “pedagogica” del bambino/adolescente/futuro cittadino, che attinga alla ricerca psicopedagogica più aggiornata, che sappia accogliere la complessità della nostra società, valorizzando tutto ciò che rende possibile la costruzione dell’identità personale nel rispetto dei bisogni essenziali, la formazione del pensiero convergente, e allo stesso tempo del pensiero critico, divergente/creativo e sempre costruttivo.
Anche negli incontri successivi abbiamo rilevato questa assenza di riferimenti alla riforma Renzi. Ciò che invece è emerso, quasi sempre, è l’apprezzamento di alcune parole chiave che attraversano il nostro libro: essenzialità, attenzione alla relazione educativa, sinergia tra emozioni, immaginazione, intelletto (secondo la definizione di Bettelheim), ricerca del senso e del significato dei docenti (che lasciano segni ed introducono nei segni), degli alunni, della scuola, dei genitori, formazione costante, e altre “vecchie” parole, e sempre vere, quali passione, empatia, compassione, amore, ascolto, accettazione, osservazione….
Apprezzamenti vi sono stati per la nostra sottolineatura del pensiero divergente e della creatività, quale condizione per personalità non omologate; creatività che attraversa tutte le discipline e che può essere sviluppata con una didattica attiva, con laboratori espressivi, con l’educazione all’arte, attraverso cui costruire un gusto ed uno stile personale.
“Sì certo – ci è stato detto – “ma come è possibile procedere in tal senso quando mancano i fondi, i materiali e a volte gli spazi adeguati?”
“Non è facile contrastare la massificazione del gusto” dice una professoressa e continuando: “Negli ultimi anni abbiamo notato che i nostri ragazzi confondono il senso del bello con il tanto e il ridondante”.
Diffusamente abbiamo riscontrato interesse per la nostra proposta di formazione attraverso l’OSSERVAZIONE PSICOPEDAGOGICA, una modalità a costi ridotti, non di tipo “clinico”, ma come possibilità di “affondare” lo sguardo, possibilmente con la guida di un “esterno” alla classe (esperto, dirigente, o collega competente), per meglio comprendere quel bambino in quella situazione d’apprendimento, quel gruppo di alunni per coglierne la dinamica relazionale, se stessi per accogliere l’implicito, il non detto che, spesso, inconsapevolmente diventano motivo di falsificazione del proprio agire. Una modalità che richiede disponibilità, anche attraverso la scrittura, a riflettere sulle diverse situazioni d’apprendimento, ad aprirsi al confronto, in altre parole alla collegialità.
“Facile a dirsi” ci è stato detto in uno degli ultimi incontri.” Spesso alcuni colleghi fanno presenza passiva, quando non dichiarata opposizione, arroccati alla loro routinaria esperienza. Come smuoverli? Ed è possibile?”
Questo uno dei motivi di scoraggiamento più frequente. Rispondendo, abbiamo cercato di ricordare che, per quanto ci riguarda, non pensiamo a un cambiamento radicale e a breve termine. Possiamo confidare nelle nuove generazioni di insegnanti, purtroppo ancora non adeguatamente formati? Pensiamo di sì se la formazione diventa costante. Ci vuole tempo per innovazioni durature ed è necessario che i docenti motivati e consapevoli del senso e del significato, del valore del loro lavoro facciano il possibile per reali cambiamenti, il possibile non l’impossibile. Ci vuole slancio ideale, passione, resistenza all’insuccesso, ma anche molta concretezza.
In alcuni incontri, come a Ciriè a Villarbasse, è stata sottolineata la difficoltà di confronto con le famiglie, a volte troppo deleganti, a volte troppo esigenti. “Come riprendere un dialogo costruttivo, che sembrava essersi avviato con i Decreti Delegati nel lontano 1974?”. Anche in questo caso abbiamo sottolineato l’importanza della variabile tempo. Occorrono più incontri con le famiglie ed una modalità comunicativa che consenta agli insegnanti di non sentirsi sotto accusa e ai genitori di non sentirsi giudicati ed esclusi.
Alla domanda abbiamo cercato di rispondere ancora una volta con il richiamo alla fiducia. Oggi si vive in una società complessa e non è facile accogliere tutte le “diversità” e le contraddizioni che la compongono e la contraddistinguono. E tuttavia non si può prescindere da ciò. Per questo ci vuole tempo, tempo per osservare, comprendere, per il dialogo senza pregiudizi. E ovviamente occorre tempo per l’apprendimento disciplinare approfondito e durevole.
Particolare attenzione è stata posta al tema dei bisogni essenziali così come vengono indicati nel testo.
Si e discusso in alcune realtà, ad esempio a Robilante (Cuneo), di quanto sia difficile guidare i bambini e gli adolescenti nella costruzione della loro identità a causa di pervasivi modelli sociali consumistici ed edonistici, di una esasperazione narcisistica degli individui, dell’allentamento dei legami sociali, la diffusione di una cultura multimediale che allontana le relazioni dirette per ampliare a dismisura quelle virtuali. E ciò solo per indicare alcuni tratti evidenziati durante gli incontri.
Quindi quali bisogni soddisfare? Come orientarsi nella complessità? La scuola deve accogliere ciò che gli alunni già sanno (si parla oggi di bambini “digitali”), il loro modelli, la loro “cultura” giovanile? La scuola deve liberare o disciplinare, s’è detto nell’incontro a Rivoli.
Le risposte che nel dibattito sono emerse sono del tipo che segue. “Occorrerebbe considerare che un bambino è sempre un bambino in ogni epoca e in ogni contesto e che i suoi bisogni fondamentali di cura, di accoglienza, di buone relazioni, di conoscere il mondo, l’altro e se stesso rimangono fondamentali e imprescindibili. Non si può negare che gli alunni abbiano conoscenze di vario tipo e di diversa profondità nel momento in cui si affacciano alla vita scolastica. Queste, in ogni ordine di scuola, sono una premessa da cui partire per costruire conoscenze consapevoli, spingendo l’apprendimento sempre un po’ oltre (Wygotskj). La scuola quindi deve “liberare” ma anche “disciplinare”, aggiungere cioè solide conoscenze poiché più si conosce con consapevolezza e meglio si costruisce la proprio identità. Anche le nuove tecnologie informatiche possono favorire tali processi, purché i docenti sappiano davvero padroneggiarli e guidare i loro alunni. S’è detto: “Il computer è uno strumento che i docenti devono conoscere per un uso “misurato”. Temo che se un alunno per apprendere dovesse avere uno schermo davanti a sé, questo potrebbe impedire di vedere ciò che sta oltre, gli altri, il mondo”.
Un insegnante di scuola media superiore, relativamente a mancanza di motivazione, interesse, impegno in molti alunni notava la scarsa o nulla formazione psicopedagogica di tanti colleghi. In molti di loro, diceva, subentra una sorta di “cinismo” in quanto, non riconoscendone i bisogni, non prestando ascolto per conoscerne interessi e pensieri, risolvono il problema del non apprendimento semplicemente affermando con una sicurezza di comodo: “è colpa sua”.
E in riferimento all’ascolto dei propri alunni, in particolare in fase adolescenziale, viene dato rilievo (Alba e Rivoli) alla necessità di essere compassionevoli come affermato nel testo. Soprattutto nell’incontro a Rivoli si è sottolineato che tale atteggiamento implica un ascolto attivo, profondo dell’altro, che non significa adesione totale, ma conoscenza e comprensione della fatica esistenziale, del dolore che è insito anche nell’apprendere, come ci insegna Giorgio Blandino. Un atteggiamento che migliorerebbe la relazione non solo con i propri alunni ma anche con gli altri adulti, siano genitori o colleghi, poiché ne faciliterebbe il dialogo.
In altro contesto, pensando soprattutto agli adolescenti, è stato detto che oggi più che in passato mancano “maestri” veri per i nostri alunni, i nostri giovani.
Se è vero come afferma Umberto Galimberti, da noi richiamato nel dibattito, che abbiamo bisogno di realizzare un nuovo umanesimo, occorrono adulti che siano modelli autorevoli di riferimento.
“Un’adolescenza senza maestri è un’adolescenza triste”.
Il capitolo del libro sulla diversità e l’handicap ha suscitato, quando se n’è potuto parlare essendo molto esteso, particolare interesse là dove trattiamo l’inclusione dei bambini gravi, in particolare ha colto nel segno, dando voce al disagio di molti insegnanti di classe e di sostegno, il nostro richiamo alla “concretezza” delle situazioni; concretezza intesa come reale possibilità di accoglienza/inclusione bel bambino grave, modulando tempi di frequenza, delle attività fuori e dentro l’aula, risorse, spazi, collaborazioni con i servizi e con il territorio e con la famiglia. A Ciriè l’incontro si è concluso con la richiesta di approfondimenti. Avremo un incontro di formazione il prossimo 5 novembre 2016.
Interessante è stato l’incontro nel paese natale di uno di noi, Portigliola, un piccolo paese della Locride, dove è apparso chiaro che ai “normali” problemi (strutture carenti, insegnanti non adeguatamente formati, servizi territoriali carenti…). In quella realtà, ma pensiamo all’intera regione, si aggiunge ancora la difficile accettazione delle “diversità”.
Chiudiamo questa sintesi, riportando alcune osservazioni relativamente alla formazione dei docenti. Negli ultimi incontri (Trento e Treviso) s’è notato quanto questa sia necessaria per poter affrontare l’immobilismo largamente diffuso e promuovere il cambiamento. “Ben venga l’obbligo introdotto dalla riforma, anche se una buona parte dei docenti dovesse fare presenza passiva. Dobbiamo avere fiducia”
Inoltre, mentre veniva ribadita la necessità della valutazione formativa e delle micro valutazioni informali per gli alunni, al contempo vaniva sottolineata la necessaria valutazione dei docenti anche come autovalutazione. Essi devono divenire capaci di osservare, analizzare, riflettere sul proprio modo di agire, e, più in profondità, capire quando si corre il rischio di addebitare agli alunni ciò che riguarda il personale modo di insegnare, i propri metodi ed i propri pregiudizi.