di Marilena Capellino
Era successo di nuovo e lei si sentiva nuovamente disorientata. Provava la stessa sensazione di quando si era ritrovata maggiorenne dalla sera alla mattina.
Era stata approvata una legge che portava la maggiore età da 21 a 18 anni e lei, che ne aveva 20, era stata presa alla sprovvista. Nei mesi precedenti, si era immaginata come sarebbe stata la sua vita quando lei stessa avrebbe potuto decidere e rispondere delle sue decisioni, senza dover più chiedere permessi né autorizzazioni. Voleva festeggiarlo, quel giorno, come una sorta di rito di passaggio che avrebbe sancito la perdita dell’adolescenza e il passaggio all’età adulta.
“Così non vale…” pensò allora e sentì di essere stata defraudata della possibilità di prepararsi e poi di godere per quel salto di vita. Si accorse che le era stato tolto qualcosa e che non avrebbe più potuto recuperarlo.
Abitava ancora con i suoi genitori, da un lato smarriti di fronte a questa novità, ma anche sollevati perché da quel giorno in poi avrebbe risposto lei delle sue azioni sulle quali non erano d’accordo e che creavano continui litigi, come la partecipazione ai cortei o agli scioperi…
C’era voluto un po’ per rendersi conto che era adulta, anche se grande si era sentita sempre, ma l’aveva fatto “contro” ora invece era autorizzata dalla legge. Sarebbe stato uguale? O forse, quando non doveva più dimostrarlo, era meno intrigante?
Ora la sensazione era simile. Con la pandemia era stata collocata nei soggetti a rischio: avrebbe compiuto 65 anni tra qualche mese e, se fino a qualche giorno prima era classificata tra i “diversamente giovani”, ora si ritrovava improvvisamente “vecchia” e fragile e doveva fare i conti con questa condizione.
Non che prima non ci avesse mai riflettuto; da quando era andata in pensione il pensiero della vecchiaia e della vita ancora da vivere, più breve di quella già vissuta, era stato un campanellino latente, ma si era cercata un sacco di occupazioni che non le avevano consentito di soffermarsi su quella sensazione e l’aveva messa un po’ da parte. Ogni tanto si chiedeva se svicolava perché aveva paura, oppure perché era tranquilla, ma non aveva ancora trovato una risposta.
Grazie al corona virus, altri avevano deciso per lei e le avevano trovato una collocazione.
Come si sentiva?
Fuori dal coro, come al solito.
Non aveva mai accettato le definizioni fin da quando era piccola, non era mai riuscita a sentirsi a proprio agio in una categoria definita. Sia che si trattasse di essere la prima della classe, la compagna impegnata, la brava insegnante, la brava moglie o la preside competente, doveva introdurre una screpolatura, un’imperfezione che la rendesse un po’ deviante dal modello designato.
Chissà, forse per distinguersi e potersi ritrovare.
E così decise di fare anche adesso.
Indossò i suoi orecchini rossi a forma di barchetta, il suo due pezzi turchese e si sedette sul terrazzo, a prendere il sole che sfacciatamente illuminava la calda primavera dell’isolamento.
(Marilena Capellino, aprile 2020)
Che belle le screpolature, le imperfezioni!E che bel racconto! In poche righe c’è tanta vita, vita senza età eppure vissuta nel tempo, assaporando attimi di sole con la stessa intensità con cui si pesano anni di esperienze. Tutto può insegnare qualcosa, ma solo a chi ha imparato, da sempre, anche dalle sbavature. Per un istante sono stata con te su quel balcone…potenza della letteratura! Grazie Marilena!Un abbraccio!