Dall’ Open Group –Corso di Formazione “ Educare Dialogando” interlocuzioni e risposte di Germana De Leo (neuropsichiatria infantile)-
(omissis)…..La psicoanalisi ci ha insegnato che la vita psichica implica processi complessi infra-psichici-mentali-biologici-culturali-sociali che devono fra loro costantemente integrarsi; quando tutto questo non accade la “macchina psichica e biologica” non funziona più in modo adeguato.
Oltre questa complessità occorre anche evidenziare il concetto, ormai acquisito dalle scienze neuro-psico-fisiologiche, che l’accrescimento e l’evoluzione dell’organismo non sono lineari, non hanno un solo senso, una direzione, non sono una successione di stadi propedeutici l’uno all’altro, ma procedono implicando più direzioni, cicli e stratificazioni di sensi e nessi, che, come i pezzi di un puzzle, si rimettono insieme e si ricompongono in continuazione.
L’individuo non arriva all’età matura dimenticando l’esperienza precedente; la integra, la elabora inconsciamente in molteplici configurazioni, che faranno assumere-vivere il presente, l’oggi di una situazione a volte sul versante più difensivo, a volte con maggiore apertura e positività.
Ognuno di noi è, nel suo presente di individuo, un fascio di elementi polimorfi più evoluti, meno evoluti, più o meno sintonici con l’ambiente.
Così anche la razionalità è espressione della compresenza di elementi regressivi ed evolutivi, e non è un sistema a se stante, più strutturato e garante dell’intelligenza dell’uomo, come molte culture e scienze sostengono ancora.
Nella prospettiva di questa complessità, pensiamo nuovamente al bambino; cogliamo allora più chiaramente la polidimensionalità della sua vita e il continuo ri-sistemare significati, sensi, codici, simboli, nessi… che provengono dal suo mondo interno a contatto ed in interazione con il mondo esterno e con il mondo interno degli adulti.
Bettelheim dice di « aiutare il bambino a capirsi », ma non possiamo aiutare un bambino a capirsi se noi stessi “non ci siamo capiti o non siamo disponibili a capire/capirci”. Nè se a nostra volta non siamo stati mai capiti .
Proprio gli adulti a volte hanno difficoltà ad interrogarsi sui loro significati interni, a comprendere le proprie angustie, i propri bisogni e disagi.
A un bambino si possono anche trasmettere le proprie esperienze (”anch’io sono stato angosciato e ho potuto superare in quel certo modo” l’angoscia”), e questo racconto potrà anche aiutarlo. È possibile, ma la cosa importante – visto che lui come noi è alle prese con la sua complessità interiore, con la sua ricerca intricata di sensi – non sarà il racconto delle nostre esperienze a consolarlo, spronarlo, bensì sarà la nostra presenza attenta.
Tale presenza-vicinanza dell’adulto fa sentire al bambino che l’attenzione, il pensiero dell’altro è rivolto a lui, accoglie e risponde al suo bisogno di essere ascoltato, compreso, considerato, affinché, come indica Bettelheim “ il bambino diventi capace di comprendere le altre persone”.
Quando si parla di “presenza” non si intende una continuità in affiancamento permanente come interpretano certe madri apprensive o possessive, bensì è l’esserci al momento della richiesta, del bisogno, in quella dimensione di ascolto attivo, di gesti e piccoli fatti reciproci, di intima risonanza che può anche non avere parole, ma che rende gli uni agli altri presenti, confermati, considerati, compresi.
L’essere presenti il tanto che basta, il tanto che consenta al bambino di “mangiare”, di nutrirsi di quel “ buono” che le parole, i gesti gli comunicano (anche quando non ne comprende il significato, i nessi, i fini).
nei suoi tempi e modi ridarà cio che incosapevolmente ha appreso -incorporato e si esprimerà nel linguaggio, nel gesto, nel gioco, nel movimento….percorrendo tutte le tappe di sviluppo , o recuperandole via via, …..
cifr. Libro Bianco Diapason n°2- EditServiceGHO 2001