di Marilena Capellino
L’origine etimologica della parola simbolo deriva dal verbo greco symballo, che letteralmente vuol dire “metto insieme, unisco, avvicino, congiungo, scambio, confronto, mi incontro, mi imbatto, mi metto in relazione”. Difatti nel mondo greco, il simbolo era una sorta di tessera, un oggetto di varia materia, che veniva impiegato per denotare il legame di ospitalità esistente tra due persone, due famiglie o due città; l’oggetto veniva spezzato in due parti e ciascun contraente ne riceveva una parte.
Il simbolo aveva anche significato di tessera di riconoscimento, o permesso per entrare in luoghi pubblici, privati o riservati.
Spesso le parole “simbolo, segno, allegoria, immagine, metafora”, hanno acquisito una connotazione sinonimica pur se in maniera errata, anche per via della polisemia del termine simbolo che ha reso difficoltoso assegnargli un significato univoco; per Jung, che si è occupato molto di questo concetto, il simbolo si situa piuttosto in una presa di coscienza delle realtà ancestrali contenute nell’anima umana, i cosiddetti archetipi dell’inconscio collettivo.
In L’uomo e i suoi simboli, Jung afferma:
“… una parola o un’immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa possiede un aspetto più ampio, inconscio, che non è mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali”.
Pur essendo stata soggetta in ogni tempo alle definizioni più disparate, si può constatare che tutte hanno in comune il fatto che con tale termine si caratterizza qualcosa che dietro al senso oggettivo e visibile ne nasconde un altro, invisibile e più profondo.
L’uso della simbologia, quindi, non avendo un codice unico di lettura, lascia aperte infinite possibilità interpretative ed è quindi impossibile pretendere di dare ad un simbolo (croce, ruota, doppia ascia ecc.) un senso specifico. Tuttavia, il linguaggio simbolico è un meccanismo costante della mente umana e in questo consiste la sua universalità; la sua capacità di andare oltre la razionalità ne fa, poi, la lingua madre dei sogni notturni, in un tempo nel quale la razionalità è assopita.
Il simbolo, quindi, non è mai significante ma lo sono le parole che scaturiscono dal simbolo stesso. Tornando a Jung, possiamo quindi affermare che il simbolo è una rappresentazione archetipica fornita di una carica emotiva che consente la trasposizione di valori psichici da un contenuto all’altro; nel mandala della tradizione induista, ad esempio, le forme rotonde, in genere, simboleggiano l’integrità naturale, mentre le quadrangolari rappresentano la presa di coscienza di tale integrità.
I simboli quindi “parlano” ad ognuno di noi consentendoci di incontrare, grazie all’intuizione, parti a volte dimenticate e, poiché i pensieri e le emozioni profonde sono fondamentali per le scelte che compiamo e per le responsabilità che assumiamo, essi hanno una valenza essenziale nella nostra visione del mondo e nella nostra storia personale.