Mia figlia è vissuta per ben quattro anni lontano da me. Io sono filippina e sono venuta in Italia perché non avevamo di che vivere. Mio marito aveva perso il lavoro, Katerine aveva tre anni quando ho deciso di emigrare. A Torino avevo dei parenti. Mi hanno trovato un lavoro come badante e così è cominciata la mia vita qui. Assistevo una donna malata di 90 anni. E’ stato molto duro, ma non mi sono tirata indietro. Il mio pensiero era mandar un po’ di soldi a casa e poi, appena possibile, fare il ricongiungimento con la famiglia. E così è stato. Quattro anni dopo, mia figlia e mio marito sono arrivati in Italia. All’inizio abbiamo vissuto con mia sorella, poi mio marito ha trovato lavoro e ci siamo trovati una casetta tutta nostra. Mia figlia era cresciuta molto, era contenta di essere con papà e mamma, ma nello stesso tempo era dispiaciuta di aver lascito i nonni, i cugini con cui aveva vissuto insieme. Ho avuto difficoltà all’inizio per farmi accettare da lei, perché non era cresciuta con me. Pian piano ce l’abbiamo fatta. L’ho iscritta alla seconda elementare ed ha cominciato ad andare a scuola,
Era felice, la maestra che l’ha seguita all’inizio per insegnarle l’italiano, mi diceva che era una bambina solare con una gran voglia di imparare.
Ogni esperienza era per lei fonte di gioia. Non si tirava mai indietro, voleva partecipare a tutti i momenti della vita scolastica. Ricordo ancora la sua prima gita. Alla sera ha preparato la sua valigia e continuava ad aggiungere qualcosa, fino quando non ci stava più niente. Era emozionata e felice e noi con lei. Al ritorno ha continuato a raccontarci tutto quello che era successo a lei e alle sue compagne. Ha persino scritto in un tema come era stato bello vedere la neve, toccarla, giocare e aveva telefonato ai nonni per raccontarlo anche a loro.
Poi tutto è cambiato. Katerine ha imparato l’italiano e anche se non era ancora molto brava, non seguiva più i corsi per imparare la lingua. Le insegnanti della sua classe hanno cominciato a interrogarla di tutte le materie senza tener mai conto che non era neanche un anno che era in Italia. Ha cominciato a prendere brutti voti. Piangeva sempre, studiava, molte cose non le capiva perché ancora scritte in modo molto difficile per lei e tornava a casa sempre con voti bassi nonostante un grande impegno. Andava a dormire tardi, perché ce la voleva fare. E’ diventata sempre più triste e sola. I compagni la prendevano in giro, nessuno la invitava a casa sua. Non era più la mia Katerine ed io non avevo neanche tempo per starle dietro né potevo aiutarla.
Se fossi potuta rimanere nelle Filippine, a scuola non avrebbe avuto nessun problema. Le è sempre piaciuto studiare. E nonostante tutto lo fa anche adesso. A scuola un po’ è migliorata, ma lei, purtroppo, non ride più. A volte mi chiedo se ho fatto bene a farla venire in Italia, ma sono sua mamma e penso che abbia bisogno anche di me. Prego Dio che un giorno sia anche lei una ragazza felice.
Katerine, purtroppo, non ride di più
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Mi sembra di tornare indietro nel tempo leggendo questo articolo. Anch’io ho vissuto un’esperienza simile però all’università.
Nel mio paese sono sempre stata tra le prime della classe, mi piaceva e tuttora mi piace studiare, il problema era che tutto lo sforzo veniva “premiato” con un voto scarso! Quanti pianti!
Grazie a Dio mi sono laureata, con tanto sforzo ma con la soddisfazione di aver dato il massimo.
Stai vicino a tua figlia con amore e pazienza, ricordagli che quel che conta non è il voto, ma l’impegno!
Pure io ho avuto problemi a scuola perché i miei genitori parlavano il dialetto, e sono stata emarginata perché l’insegnante non capiva come io non conoscessi certe parole, quindi non potevo esprimere le mie emozioni perché “non trovavo le parole”. Penso che un buon vocabolario possa essere utile alla bimba. Io ho ancora quello regalatomi da bambina, sgualcito perché adoperato molto, ma con lui ho trovato le parole. Sono ormai una nonna e nelle PAROLE c’è ora la mia passione: SCRIVERE.
Paola Insola