Mi piace guardarla quando gioca da sola, chiusa nel suo mondo di bambina, aperta ad ogni scoperta che le si offre al suo sguardo. Ha due anni Luisa ed è entrata in una stanza che non conosce. Dapprima si aggira e guarda l’insieme, poi si siede sul tappeto dove trova tanti oggetti a lei ignoti. Li porta alla bocca, poi lo gira tra le sue mani a volte troppo piccole per afferrare tutto ciò che prova. Qualcosa le cade. Allora ne fa cadere altri. Li lancia in aria. Sente un rumore, quando l’oggetto batte a terra, allora lo batte lei più volte, poi prova con un altro ed un altro ancora. Sorride quando ne sente il suono.
Si ferma, come pensasse quale può essere la sua prossima mossa. Trascina in un angolo due libri e una scarpa in un angolo. Impila i due libri e mette sopra la scarpa. Guarda la sua combinazione, ma non sembra convinta e corre a prendere una sciarpa sulla sedia con cui la copre. Ora sembra contenta: poi la scopre e la ricopre.
Agisce in libertà, senza suggerimenti, senza domande. E’ assorta, il tempo passa e non se ne accorge e rimane contrariata se qualcuno la chiama. Fa finta di non sentire, o davvero non sente. Troppo assorta, presa dalle sue esplorazioni. Perché adesso è dall’altra parte della camera dove ha trovato due magnifiche scatole.
Ogni oggetto nelle sue mani si anima, non è più quello che era prima, non ha la stessa funzione, Luisa sovverte ogni abitudine, non c’è per lei un uso corretto o scorretto e, se qualcuno le fa notare che le scarpe servono per camminare, Luisa lo guarda, poi riprende le scarpe e ricomincia il gioco dal punto in cui l’aveva interrotto.
Per molti adulti questo modo di giocare è un’inutile perdita di tempo, è caotico, senza fine e bisognerà quanto prima “mettere ordine” nella testa del bambino e abituarlo a fare “giochi intelligenti”.
Non sanno questi adulti che questi giochi “in libertà” dei bambini insegnano loro un sacco di cose molto importanti che neanche si immaginano.
Imparano a muoversi col loro corpo, a bilanciarsi sulle gambe, a muoversi in ogni direzione, a osservare, ad afferrare, ad assaggiare. Imparano che ogni cosa possono muoverla in modo diverso, che una scatola non può rotolare, ma può contenere, che una palla corre se la spingi, che una cosa si rompe ed un’altra fa resistenza. Imparano che un oggetto è liscio ed un altro è ruvido. Imparano a categorizzare e a riconoscere oggetti nello spazio. Imparano ad usare l’immaginazione, la fantasia… e tanto altro. Imparano a usare la voce, a padroneggiarla e a modularla. Imparano tutte quelle abilità basilari che diamo per scontate che apriranno la mente all’apprendimento di altre capacità. E, cosa molto importante, imparano ad essere autonomi, a misurarsi con se stessi fin dove possono e là dove non arrivano, a chiedere aiuto.
Il gioco del bambino rappresenta in piccolo il lavoro dell’esploratore che cerca di conoscere un terreno ignoto, percorrendolo, se non sempre bloccato, in lungo e in largo, commettendo errori, ma imparando dagli errori. Non si impara solo “seguendo le istruzioni”, si impara anche e prima di tutto facendo da soli.
Ma soprattutto Luisa dimostra di essere appagata da quello che sta facendo, a volte ride, ma è anche molto seria e concentrata, non sa cosa sta cercando, cerca, guarda, tocca… La scoperta viene cammin facendo. Ed allora senti il suo Ohhh, di soddisfazione o stupore.
Oggi forse diamo troppo poco spazio a questo tipo di gioco bloccando la creatività e anche la capacità di pensare in modo autonomo. Spesso noi adulti siamo assenti quando dovremmo essere presenti, e troppo presenti quando dovremmo essere assenti.
Giocare per imparare. Che il bambino impari di più facendo piuttosto che ascoltando, in libertà piuttosto che in costrizione, non è un’idea nuova. L’hanno già detto in molti: da Dewey alla Montessori, da Freinet a Claparéde fino a Piaget per non citare che i più noti. Scoperta, creatività, gioco, sono concetti strettamente legati, attività connesse, tanto nel bambino che nell’adulto. Il gioco stesso ha spazi e tempi propri. Il gioco si attua in quello che Winnicot chiama spazio transizionale e quindi anche di transizione tra ego e non ego, una sorta di terra di frontiera, un intervallo, un limite, come il limite tra lo spazio della creatività e quello dell’arte. Giocare diventa allora occasione migliore per vivere un’esperienza creativa, anche casuale.
Lo spazio transizionale del gioco deve e può essere libero di valori, ma non di regole. Le regole danno sicurezza al gesto, all’azione, al gioco dell’immaginazione.
Durante l’infanzia siamo in quello stato che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio… tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione.Poi si diventa adulti, si entra nella ‘società’, uno alla volta si chiudono i ricettori sensoriali. Non impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? A cosa serve? Quanto mi rende?
Bruno Munari
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