di Roberto Tarditi
Condizioni di vita diverse
Ora, una parte di quel gruppo si è costituita in movimenti per la vita indipendente, con l’aspirazione di inventare comportamenti e modelli per costruire l’autonomia delle persone con forte disabilità fisica.
Ho avuto modo di leggere alcuni dei loro documenti programmatici sulla vita indipendente: mi ha stupito la tendenza ad elaborare enunciazioni di principi con altisonanti terminologie concettuali astratte.
Questo tipo di approccio dovrebbe, a mio avviso, lasciare il passo alla semplice considerazione della vita reale ed alle concrete esigenze di ogni persona, chiunque essa sia: avere una casa, un lavoro, uno stipendio o una pensione adeguata, nonché strutture che garantiscano la libertà di movimento.
Personalmente ritengo che l’autonomia sia un principio fondante della persona umana indipendentemente dalle proprie condizioni fisiche, sociali e politiche che non necessita di ulteriori peripezie linguistiche a livello normativo/descrittivo.
Volendo far riferimento alla praticità della vita sono costretto ad un’autocitazione, che porgo al lettore solo come indicazione generale di analisi e riflessione.
Sono una persona di 62 anni, dalla nascita affetta da tetraparesi spastica; la mia veneranda età ha fatto sì che le mie condizioni fisiche si siano aggravate e se ventisei anni fa potevo camminare con il bastone, ora cammino con la mia carrozzella elettrica per casa. Alcuni miei atti quotidiani sono compiuti in modo autosufficiente, con lentezza e fatica: come il vestirmi, lo spogliarmi e il restauro mattutino. Altri atti quotidiani invece richiedono, necessariamente, un intervento che può essere garantito solo dalla presenza di un assistente personale: come l’essere aiutato nell’igiene personale – doccia mattutina – l’essere accompagnato dal medico ed essere garantito in caso di necessità anche notturne. Dal 2003 ho potuto assumere un assistente personale per 20 ore settimanali – quanto necessario per far fronte alle mie esigenze – grazie ad un intervento di assistenza economica erogata dal Comune di Torino (assegno di cura di tipo A).
Rifletto sulla mia attuale indipendenza fisica e mi accorgo che giorno dopo giorno il mio corpo diventa dipendente, ha sempre più bisogno di qualcuno che lo accudisca nell’assistenza personale per lavarsi, vestirsi, andare in bagno, spostarsi. E dunque ogni operazione, anche la più semplice, richiede l’intervento di un’altra persona. Ma è ancor più umiliante dipendere economicamente dagli enti preposti, elemosinare contributi economici, poiché la pensione di invalidità civile, da fame, il cui livello attuale (euro 253,00), è tale da non consentire nemmeno la sopravvivenza fisiche.
Questa è la situazione mia e di Piero, che ventisei anni fa, abbiamo iniziato a vivere una vita indipendente, pur avendo una disabilità motoria grave. Noi che fruiamo di una pensione d’invalidità civile totale, per vivere una vita decente, dobbiamo anche utilizzare l’indennità d’accompagnamento per integrare la pensione.
Devo precisare che, l’indennità d’accompagnamento (pari a euro 457,66) ha la funzione di rimborsare le spese agli accompagnatori che prestano l’assistenza come condizione indispensabile per realizzare la vita indipendente delle persone con disabilità grave. E affermo inoltre che l’indennità di accompagnamento è destinata ad ogni tipo di patologia motoria (invalidità 100%), ovvero alle persone – pensionate o stipendiate – impossibilitate di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o bisognose di un’assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.
Io ed Piero dobbiamo affrontare i costi relativi agli alimenti, al vestiario, alla locazione, alle varie spese della casa e alle esigenze assistenziali, mentre a mio esclusivo carico ricadono anche i contributi Inps per il mio assistente personale (252,20 euro).
Sono ben diverse invece le condizioni economiche delle persone, con forte disabilità fisica, che, svolgendo un regolare lavoro retribuito, possono contare anche su uno stipendio.
E’ proprio da queste reali condizioni di vita che nascono delle disuguaglianze cui accennavo all’inizio.
Rifletto infine sulla realtà delle persone con disabilità permanente e gravi limitazioni dell’autonomia personale che si trovano in una condizione di dipendenza e di subalternità (familiare, fisica o psicologica). Tale condizione riduce duramente le possibilità di autodeterminazione e le scelte autonome: come organizzare l’attività e il riposo; quali amici o amiche frequentare, come e dove divertirsi, come tutelare il proprio spazio di vita. E affermare la propria volontà nell’istruzione, nel lavoro, nell’affettività.
Un rialzo dell’importo mensile della pensione d’inabilità totale al lavoro e dell’indennità d’accompagnamento sarebbe indispensabile non solo a garantire alle persone disabili una vita “indipendente” al di fuori della famiglia, ma anche una possibilità – per chi lo desideri – di vivere diversamente, in modo più autonomo, all’interno della famiglia.
A questo scopo diventa fondamentale, affinché i figli disabili continuino a vivere nel proprio ambiente familiare senza rinunciare alla propria indipendenza, realizzare un servizio di assistenza personale gestito direttamente dagli utenti.
L’assistenza personale autogestita consente, non solo al disabile, ma anche a chi gli sta vicino, di riappropriarsi completamente della propria vita e di riconquistare la libertà di costruire dei rapporti interpersonali più autentici, liberi dalla costrizione senza deroghe del bisogno.
Il mio appello finale – che è anche e soprattutto una speranza – è rivolto però alle associazioni, che recuperino l’unità che ne contraddistingueva le lotte negli anni Settanta e Ottanta. Il nuovo, vitale, orizzonte comune dovrà essere, a mio giudizio, proprio il concetto di vita indipendente, inteso però nella grandissima varietà di soluzioni possibili che la vita delle persone nel concreto suggerisce, al di là e oltre le categorie astratte.
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Considerazione sulla vita indipendente delle persone con handicap grave Parte prima