Si evidenziano però rispetto alla produzione, con particolare riferimento alla fruizione, tre problemi:
⇒ “l’oggetto prodotto/l’opera d’arte, che vuole esprimere e comunicare una propria “poetica” attraverso linguaggi e simboli non sempre facilmente comprensibili e identificabili, rimanda al necessario rapporto tra l’artista, il suo “oggetto” e chi lo percepisce e lo gusta con la propria sensibilità individuale;
⇒ occorre anche evidenziare che l’”oggetto” vuole trasmettere emozioni e sentimenti che possono essere recepiti, fraintesi, misconosciuti, perché “lontani” dalla esperienza di chi ne fruisce”.
In merito a questi due punti è interessante quanto afferma A. Ehrenzweig :
Si può immaginare l’opera d’arte come una conversazione tra l’artista e il suo pubblico condotta simultaneamente a due livelli diversi. Il linguaggio della forma articolata che appartiene alla sovrastruttura estetica dell’arte, parla alla mente superficiale del pubblico e soddisfa la sua tendenza estetica di tipo gestaltico … Al di sotto della sovrastruttura estetica viene condotta un’altra conversazione segreta tra la mente profonda dell’artista e quella del suo pubblico.
⇒ La responsabiltà dell’artista. In relazione alla strage di “CHARLIE HEBDO” del 7/1/2015 si evidenzia il problema della responsabilità o dell’irresponsabilità non solo del giornale satirico francese ma in generale dell’arte: non ci sono limiti etici, religiosi…. per le produzioni artistiche?
In merito su La Repubblica del 21/1/2015 sono stati interpellati filosofi, scrittori e artisti che hanno espresso opinioni diverse.
Lo scrittore “WALTER SITI riconosce a se stesso e ai suoi colleghi un solo dovere: capire quando una frase o un episodio sono dettati da una bassa voglia di notorietà, o quando invece sono necessari alla compiutezza della forma. In quel caso la frase o l’episodio deve descriverli, anche se possono apparire provocatori o politicamente scorretti…
Anche il filosofo REMO BODEI non vuole sentire parlare di limiti “ci sono voluti secoli per sottrarre l’arte al potere della religione e della politica e adesso non si può tornare indietro. Non si può negoziare un diritto acquisito. Capisco che sia un rischio andare a toccare la fede delle persone, come dice Papa Francesco, ma il problema non è nella libertà degli artisti, ma nella suscettibilità dei credenti. In Occidente la tolleranza non è stata una conquista facile. Ci sono volute le guerre di religione e tanto sangue … ma oggi ognuno può dire ciò che vuole purché non imponga la propria opinione con la violenza o l’astuzia”.
I limiti della decenza come ha detto STEVE BELL, vignettista del Guardian, non possono essere codificati. E poi il buon gusto è un concetto ambiguo.
Non piace a RODRIGO GARCIA che.. si è scontrato con i fondamentalisti cristiani e ha portato i suoi spettacoli in teatri blindati dalla polizia. Lui pensa alla pressione sociale come “a un batterio invisibile che lavora in profondità nella psiche di un artista” e, interrogato da Le Monde, si è spinto a paragonare la responsabilità “a una cellula cancerogena capace di distruggere la libertà”.
L’illustratore e fumettista GIPI afferma che gli artisti… non devono neanche porsi il problema della libertà perché se l’arte ha un senso è quello di aprire finestre anche se quello che c’è al di là è scomodo.
E in teatro? Dietro la maschera dell’arte ci si può prendere gioco di tutto? Sì, afferma SHERMIN LANGHOFF, direttrice del Maxim Gorki Theater di Berlino “penso che nessun artista o scrittore debba esitare a produrre la sua arte perché teme o pensa o immagina che possa offendere qualcuno o provocare reazioni negative”.
Così ALAN BENNETT, autore inglese “ogni scrittore deve scrivere quello che gli detta la sua coscienza, senza cautele o autocensure”.
Perché come sostiene MONI OVADIA “rappresenta solo se stesso e i lettori sono liberi o no di sceglierlo…si è già responsabili di ciò che si scrive. Lo si è nel momento in cui il tuo testo viene pubblicato o portato in teatro, sottoposto al giudizio di chi è libero di apprezzarlo, di contestarlo…”.
Precisa MAURIZIO CATTELAN, il provocatore dell’arte “un giudice può condannarti per aver infranto la legge, ma solo un fondamentalista può arrogarsi il diritto di condannare a morte chi ha infranto una legge morale, perché questa è soggettiva e variabile. Gli artisti, come gli scienziati, hanno la capacità di guardare oltre i limiti imposti dalla legge morale del tempo in cui vivono. E’ un raggio d’azione privilegiato che comporta dei rischi. Basta pensare a Copernico o Galileo per rendersi conto che non c’è niente di nuovo, anzi, la storia si ripete, pur con leggere variazioni…”.
Di opposta opinione MICHELANGELO PISTOLETTO, artista che da sempre lavora sui concetti di libertà e responsabilità “due termini fondamentali legati alla creatività. La libertà totale di per sé sfugge alla realtà e ha bisogno di un contrappeso che è la responsabilità. Solo così, attraverso una libertà responsabile, l’arte può tracciare una via, una prospettiva nella società. Abbiamo acquisito un’autonomia straordinaria sul piano artistico, ma non basta. Ci vuole responsabilità perché questa libertà possa essere ben applicata. La libertà è illimitata. La responsabilità scandisce questa libertà nelle opportunità del reale. Viviamo un tempo in cui i contrasti tornano a esplodere . Dobbiamo trovare la capacità di mettere gli opposti in equilibrio. L’arte deve assumersi una responsabilità civile”.
Ancora più radicale WILL SELF, autore noto per i suoi racconti satirici e grotteschi e spesso provocatori “Io difendo la libertà di espressione ma questa non può esistere senza la responsabilità… una buona satira deve colpire i potenti non i mussulmani”